PSYCHEDELIC ROCK

Julie’s Haircut

Julie’s Haircut – (Foto di Nael Manuela Simonetti)

 

Mai cedere alla lusinga delle aspettative

31 marzo 2017 – Monk (Circolo Arci)

LIVE REPORT – Una cosa è certa: le aspettative sono l’anticamera della delusione e, per quanto ci è possibile, dovremmo starne lontani il più possibile. Questo almeno nella teoria, perché le aspettative sono parte dell’essere umano e, in quanto tali, sono difficili da allontanare. Più fattibile, ma non per questo meno complicato, sarebbe tenerle a bada.
Questo è quello che si dovrebbe fare anche ogni volta che si assiste ad uno spettacolo. Cosa che vale ancor di più se lo spettacolo è di gruppi come i Julie’s Haircut e dei loro open act Uochi Toki. Due tra le formazioni nostrane che, più di altre, nel corso della loro carriera, hanno strizzato l’occhio alla sperimentazione, rifuggendo da qualsiasi omologazione di genere.

Per i Uochi Toki, il concetto di limite è sempre valicabile, come ci ricorda il titolo stesso del loro decimo album. Per cui, assistere ad un loro show pone sempre di fronte all’imprevedibilità. Naturalmente anche la serata al Monk ha seguito questo tracciato. Un sentiero impervio, scuro, che si allarga e si restringe fino a creare dei veri imbuti sonori che esplodono con rabbia e determinazione. La performance di Napo (Matteo Palma – voce, testi e disegni) e Rico (Riccardo Gamondi – basi ed elettroniche) ha rapito i presenti in maniera totalizzante: le orecchie catturate dalle pulsazioni sonore mentre lo sguardo, per tutta la durata del concerto, concentrato su di un grande telo, posizionato centralmente, dominante, sul quale veniva raccontata una storia opprimente, di “macchine vive” e “disciplina liquida”.
Alcuni in sala sembrano distanti, quasi lontani da quelle immagini/parole, così claustrofobiche da rendere ardimentoso seguire lo spettacolo fino alla fine; altri, invece, seduti sotto il palco come in un cinema clandestino, rimangono completamente ammaliati, in balia delle emozioni contorte generate dai due piemontesi. In sostanza, gli Uochi Toki possono piacere come no, però l’invito rivolto dai due durante lo show è emblematico: “Vivetemi come animale non come simbolo”. Una band da vedere, non solo da leggere.

 

 

Meno coinvolgente ma non per questo da sottovalutare, almeno per chi scrive, lo spettacolo dei Julie’s Haircut. Partiti da un garage rock immediato e dal forte impatto, con 20 anni di carriera alle spalle, oggi sono giunti ad uno space rock dalle forti tinte psichedeliche. Anche nel caso dei Julie’s Haircut, la presenza della componente visual è intensa e determinante (peccato per le molte interruzioni che fanno comparire il logo Benq veramente troppe volte) ed è ancora la sensazione di claustrofobia a farla da padrona, tra elementi acidi e incursioni free jazz. Il fulcro dei loro concerti è rappresentato da una costante improvvisazione che trasforma lo show in un viaggio apparentemente senza direzione né indicazioni. Niente panico, stiamo parlando di musicisti navigati, che nell’improvvisazione fagocitano brillantemente la componente ‘imprevisto’, come accaduto con la rottura del rullante: “Calmi, abbiamo pezzi senza, ne facciamo uno!”.
Stavolta però, anche a guardare le reazioni degli astanti, l’esibizione ha lasciato meno il segno. Nel momento dell’onnipresente ‘encore’, la sala, già non propriamente piena, si è svuotata ulteriormente e i bis sono stati eseguiti solo per un pubblico di affezionati. Probabilmente ci siamo fatti fregare dalle aspettative di cui sopra. Sicuramente il problema sta lì. Sarà per il prossimo viaggio. (F.DiG.)

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