POP / ROCK

Motta

Motta – (Foto di Marco Portanova)

 

Del tempo che passa o della sensibilità ritrovata

18 marzo 2017 – Monk (Circolo Arci)

LIVE REPORT – Motta non è figlio del suo tempo. O forse sì. Sicuramente è uno che il suo tempo ama viverlo da protagonista (Pelù direbbe “da dentro”), riflettendo costantemente sullo scorrere del tempo, operando su di esso un’astrazione volta ad isolare momenti precisi al suo interno. A sancire il suo personale traguardo dei trent’anni, che per noi nati alla fine degli anni Ottanta è come diventare grandi per la prima volta e con dieci anni di ritardo sulla comune tabella di marcia, ci ha pensato un disco manifesto: La fine dei vent’anni.

Impostosi come una delle migliori uscite discografiche dello scorso anno, successo confermato dalla targa MEI come miglior artista indipendente e dal premio Tenco, l’artista livornese ha coronato un lungo tour nazionale con una doppia data sold out a Roma, la città che lo ha ormai idealmente adottato. La risposta del pubblico, eccezion fatta per l’ormai comune malcostume delle ciance a volume esagerato durante l’intera durata del concerto (lo stesso Motta lo ha fatto velatamente notare), è sintomatica dell’alto livello qualitativo raggiunto dall’artista.

Sul palco tutto riporta ad un modo di fare musica che si scosta pesantemente dal vaporoso indie-pop degli ultimi anni, quindi niente autotune, né riferimenti ai social né foto col cellulare quanto, piuttosto, tanti involontari riferimenti agli anni novanta nascosti nel piglio, nell’attitudine e perfino nell’abbigliamento. Sono pur sempre i Venti che crollano, i Trenta che incombono, le speranze che vanno e nuovi orizzonti che vengono: è necessario raccontarli con un certo amplombe.

La sensibilità con cui Motta affronta brani come Del tempo che passa la felicità, Mio padre era un comunista, Prima o poi ci passerà, La fine dei vent’anni, non è tout court ma distribuita in maniera regolare tra passato (Fango e Cambio la faccia sono due brani dei Criminal Jokers), presente (Sei bella davvero è l’omaggio a Riccardo Sinigallia) e futuro, entità quest’ultima su cui Motta proietta sempre uno sguardo. Un progressista sensibile che rende autobiografiche canzoni politiche. Il resto della storia è un concerto con una scaletta obbligata fatto di riflessioni e fraseggi muscolari, di zig-zag tra esistenzialismo, nichilismo, smarrimento e contemplazione che si esaurisce in un batter d’occhio come tutte le cose belle. L’unica convinzione che rimane alla fine è quella di aver vinto un’altra guerra, forse per una volta quella contro il tempo. Strano da credere. (Stefano Capolongo)

Ci taglieranno le mani
Ci faranno a pezzetti
Con il coltello fra i denti
Li guarderemo negli occhi
Ci spareranno le gambe
Per non farci pensare
Poi strisceremo di notte
Per non farci vedere

(Motta – Abbiamo vinto un’altra guerra)

 

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