Rock

The Dandy Warhols

The Dandy Warhols – (Foto di Nael Manuela Simonetti)

 

Tornano dal vivo, tra nuove sonorità e vecchie hit

17 febbraio 2017 – Monk (Circolo Arci)

Inauguriamo oggi uno spazio aperto alla collaborazione estemporanea dei nostri lettori: di seguito pubblichiamo (ringraziandola) le impressioni di Letizia Dabramo sul concerto dei D.W.
L’autrice dell’articolo non solo si è aggiudicata la possibilità di assistere al concerto, ma anche, e nientemeno, la divina opportunità di vivere una serata da inviata! Come ha fatto? Seguite la nostra pagina facebook e ne saprete di più (n.d.r.).

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LIVE REPORT – I Dandy Warhols sono tornati in Italia per esibirsi sul palco del MONK lo scorso 17 febbraio, a quasi un anno dall’uscita del nuovo album Distortland. Il club ha ospitato il live della band in attività dal 1995 e che ha chiamato a raccolta un pubblico nutrito ed eterogeneo: da chi ha conosciuto e amato solo le due fortunatissime hit, a un pubblico più fedele e appassionato.

I Dandy Warhols hanno presentato una setlist ricca, colonna portante di uno show denso aperto da Be-in e Crack Cocaine Rager, due brani in cui le suggestioni lisergiche si incastrano con uno spleen dal retrogusto post-rock. Tra accenti folk e concentrati di puro rock’n’roll, si arriva a STYGGO, brano tratto dall’album del 2016 e che, in questa versione, accantona il refrain orecchiabile del disco in favore di un arrangiamento più intimo e low-profile. I Love You incombe cupa sul pubblico e trasforma una dichiarazione d’amore in una minaccia, ma ci pensa The Catcher in the Rye a portare una ventata di freschezza, tra citazioni letterarie e ambientazioni West Coast.

La selezione dei brani è molto rappresentativa della carriera di questa band: si fa un salto nella prima metà dei 2000 con Plan A e Holding Me Up, prima di abbandonarsi al doppio solo del frontman su Every Day Should Be a Holiday e Welcome to the Monkey House. Ci si tuffa, poi, nel mood noir di You Are Killing Me, eseguita in un modo molto fedele alla versione originale. Una curiosità: nel videoclip di questa canzone, il protagonista è Joe Dalessandro, attore della Factory di Andy Warhol: la sua presenza, che ben si intona alle atmosfere lynchiane del video, rimarca il legame tra i Dandy Warhols e la Pop Art, già esplicitato dal nome della band. Ma non è tutto: la sibillina sentenza “In the future, everyone will be world-famous for 15 minutes”, emessa proprio dal poliedrico Warhol, ricorda il video più noto della band, in cui illustri sconosciuti impugnano il microfono per pochi secondi e interpretano qualche verso di Bohemian Like You. La hit esplode nel 2000 e, grazie ai suoi coretti, desta ancora oggi grande entusiasmo durante il live, insieme a We Used to be Friends, eseguita subito dopo e non relegata ai bis. E qui si comprende la maturità di questi quattro musicisti, capaci di proseguire la propria carriera con determinazione, senza rinnegare l’apice del successo né aggrapparvisi in modo patetico.

Si rimane nell’età dell’oro a cavallo tra 90’s e Duemila con i brani di chiusura: in Godless la base ritmica si lascia accarezzare da una voce vellutata, per lasciare spazio al medley conclusivo di Pete Internation Airport/Boys Better. La prima ammalia con sonorità ipnotiche ed echi dal passato, la seconda fa fiorire su un tappeto di distorsioni una filastrocca non-sense. E l’aspetto ludico continua a essere un elemento centrale, basato sull’ironia del frontman Courtney Taylor-Taylor, sulle acrobatiche note di colore del chitarrista Peter Holmström e, soprattutto, sull’intesa giocosa che traspare durante l’esibizione. Ma bisogna anche riconoscere la versatilità e la capacità di garantire uno spettacolo godibile, in grado di conquistare il pubblico, abbracciando contemporaneamente psichedelia, darkwave, shoegaze e britpop. (Letizia Dabramo)

 

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