JAZZ

Alex Skolnick Trio

Alex Skolnick Trio – (Foto di Marco Portanova)

 

Il superamento delle barriere architettoniche – Esempi Virtuosi, 1

19 marzo 2017 – Planet

LIVE REPORT – Ecco una di quelle serate a Roma. Le amene domeniche romane, in grado di purificare dalle tossine ingollate durante la settimana, in una maniera che solo la nostra città conosce. Nella fitta programmazione concertistica della Capitale, se ci si muove con attenzione si possono individuare perle preziose, come il concerto per chiodo & pork pie di Alex Skolnick, metallaro d’annata convertitosi al jazz, senza patemi da rinnegato.

Gran bel concerto, peccato per gli scettici, assenti, ce ne saranno stati, perché l’affluenza può dirsi ottima, ma l’esibizione avrebbe meritato più spettatori. L’Alex Skolnick Trio gode della visibilità garantita dal nome già storico di Alex, virtuoso chitarrista oggi di nuovo nella band madre, Testament, che aveva lasciato una volta nei ’90 per intraprendere percorsi nuovi, col marchio jazz in testa.
Quasi scontato che ad accorrere fossero per lo più ascoltatori di estrazione metal. Poco male, anzi, ottimo, ci piace il superamento delle barriere architettoniche, ancora di più chi le propugna. L’esibizione è stata, in effetti, un manifesto di tale attitudine: Skolnick apre al pubblico le colonne di continenti musicali ‘lontani’, ma anche i confini generazionali, colmando i gap con una disponibilità estrema, mostrata su e giù dal palco, a fine concerto (ved. la concessione di ritratti fotografici, sotto l’occhio indagatore del nostro Marco Portanova – box foto in basso).

L’ensamble è giovane, il chitarrista statunitense è accompagnato da Nathan Peck al basso, duttile, sicuro, incisivo, e da Matt Zebroski alla batteria, sbarazzino, dalla mano ferma e dalla mente leggera: un percorso dalla crescita spontanea, live, con Alex che si erge quale mentore privo di supponenza. Uno spettacolo di integrazione temporale, a cavalcioni di standard heavy metal dall’umore jazz.
La domanda che rimane è: riuscirà il nostro eroe ‘rockettaro’ ad addentare la carneficina jazz, o rimarrà ancorato all’idea che piace perché piace, tanto il fatto è che piace perché a farlo è un rockettaro e tutto il mondo è più bello?!

Il bello, comunque, viene proprio dalla propensione rock che il trio dimostra in più frangenti, con un’attitudine naturale ad elettrificare, assecondata da un repertorio basato su classici rock. Così, Dream On degli Areosmith e Still Loving You targata Scorpions, o Lazy dei Purple, abbandonano il peso della classicità per tornare a divertire, in una nuova purezza.
Il ritratto che ne vien fuori, è quello della pura passione che si bea dell’idea di branco, osservarlo ci ricorda che la musica esiste per contenere e restituire ogni genere di emozione, per cui quando si ascolta un solo genere, si fa un torto a se stessi, si rinuncia alla completezza dell’essere umano. (Pietro Doto)

 

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