Recensione


Daniele Coccia Paifelman – (Foto di Paola Panicola)

Nei bassifondi altissimi di Daniele Coccia Paifelman

Ascolta il disco Il Cielo di Sotto
(La Grande Onda, 2017)

RECENSIONE – Daniele Coccia Paifelman è un cantastorie d’altri tempi. Ascoltarlo significa ascendere ad altre dimensioni e 36 minuti di disco permettono di ritrovarsi tanto nella polvere degli scenari dei film di Sergio Leone quanto nella Roma di Brutti, sporchi e cattivi di Scola o addirittura alla deriva in mezzo al mare in tempesta, incontrando Patty Pravo, De André e Cesare Pavese.

È l’amore il tema più gettonato, letto con più sfumature e declinato nei suoi tanti modi di essere inteso e, unitamente ad esso, trovano spazio tematiche esistenziali e canzoni di denuncia contro lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Non sono amori solari, lievi e lieti quelli cantati dalla voce profonda e avvolgente di Coccia, ma amori clandestini, non corrisposti, perduti e che incendiano il cuore (e la città, come in Roma è una prigione, il singolo di Patty Pravo del 1970, qui reinterpretato in chiave country). Aceto blu è il brano che meglio di tutti racchiude la sensibilità del nostro nei confronti del tema amoroso: il testo è costruito su immagini intense e riesce ad essere toccante –“Ci sarai sempre tu/filo spinato stretto che mi tiene libero” è un verso efficace e perfetto nel descrivere certe tribolazioni – e si impone, inoltre, anche per il ritmo veloce, che richiama lo swing.

C’è spazio anche per la poesia recitata di Giustizia sommaria, tratta da Resistenza da Camera, la prima raccolta di poesie di Coccia, in cui il cantautore torna su un tema che chi ha seguito i suoi precedenti progetti, in particolare Il Muro del Canto, conosce bene, ossia quello della critica all’ipocrisia della religione, alla quale viene preferita la solidità della realtà. È un brano breve, che col suo incedere cadenzato rimanda ad atmosfere oscure da vicolo stretto e buio, ed è anche uno dei punti più alti di questo esordio solista, nonché il brano di chiusura del disco.

Il cielo di sotto è un album che va assaporato con attenzione e che si fa apprezzare più per la visionarietà delle liriche che per gli arrangiamenti, che comunque fra alti e bassi lo rendono piacevole all’ascolto. Il vero punto di forza, però, va ricercato nella capacità di scrittura di Daniele Coccia, che confeziona immagini d’impatto in un italiano che, nel suo oscillare fra registro alto e basso, rimanda al cantautorato più letterario della nostra tradizione musicale. Ecco che allora si può ritrovare nella stessa canzone, ad esempio la bellissima rivisitazione di Un dolore fa dei suoi Surgery, una citazione da Cesare Pavese insieme a richieste dirette e senza peli sulla lingua (Verrà la morte e avrà i tuoi occhi ed io la seguirò/ma scopami, perdutamente, come se non fosse niente). E non è un caso che tra le tracce sia presente una reinterpretazione di Un blasfemo di Fabrizio De André, brano che si sposa con lo spirito critico e radicale di Coccia.

Il cielo di sotto si gioca tutto, fin dal titolo, sulle dimensioni dell’alto e del basso, andando a scavare nei pozzi più profondi e oscuri, che siano quelli dell’animo o del “consorzio umano”, e cercando di risalire attraverso la speranza, probabilmente disattesa, di un mondo fatto di luce, magari nei bassifondi altissimi di un nuovo spirito. (Ilaria Pantusa)

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