POST ROCK


Goodspeed You! Black Emperor And The Holy Body Tattoo: monumental – (Foto di Nael Manuela Simonetti)

Ogni contatto è una colluttazione

13 ottobre 2017 – Auditorium Conciliazione

LIVE REPORT – Tutto parte nel 2005, quando la Holy Body Tattoo, piccola compagnia di danza sperimentale, porta in scena per la prima volta monumental, atto unico sull’alienazione e sul profondo disagio psichico nell’era del capitalismo digitale, che influenza ogni piccolo aspetto e gesto della vita quotidiana (da ciò la minuscola nel titolo). Il tutto costruito sulle dissonanze sonore dei Goodspeed You! Black Emperor, compagine di origine canadese (per chi non lo sapesse) che, con le sue composizioni in bilico tra asperità noise, divagazioni e crescendo di matrice post-rock, il tutto riletto con approccio sinfonico (più vicini a Glenn Branca che ai Mogwai, per intenderci), funge da perfetto accompagnamento e contrappunto per far entrare lo spettatore nel mood ansiogeno ed allucinato che tale progetto intende trasmettere.

Di anni ne sono passati, la tecnologia ha fatto passi da gigante, la digitalizzazione delle nostre esistenze è ormai al punto di non ritorno: momento più che opportuno quindi per rimettere su lo spettacolo e renderlo ancor più “monumentale”, avvalendosi della presenza fisica (e soprattutto sonora) sul proscenio dell’Imperatore Nero in tutta la sua magnificenza (nel 2005, i danzatori si muovevano su basi pre-registrate).

L’impatto è devastante: nove danzatori ed altrettanti musicisti, da subito in totale simbiosi. I danzatori posti su altrettanti piedistalli, isolati l’uno dall’altro, ad altezze sfalsate, che si muovono come un enorme equalizzatore umano sulle imponenti schitarrate di Menuck  e compagni. I ballerini si muovono a scatti, in maniera convulsa, epilettica, ognuno isolato nel suo piccolo spazio, nel suo piccolo mondo. Quando finalmente arrivano a toccarsi, ogni contatto è una colluttazione, violenta e fugace, un rincorrersi continuo per poi separarsi brutalmente: non c’è spazio per l’empatia in questo mondo (ormai) distopico, non siamo più abituati.

I GYBE rimangono presenza impalpabile, sempre in penombra, lasciando letteralmente che la loro musica prenda corpo attraverso le coreografie. Il continuo rombare delle due batterie è un cuore che pompa quasi fino al collasso, le tre chitarre, il sistema nervoso che trasmette tempeste d’impulsi elettrici al limite del sovraccarico sensoriale, il violino di Sophie Trudeau, le endorfine che placano ed addolciscono il tutto.

Un privilegio assistere ad uno spettacolo di questo immenso livello, anche perché, se decideranno di rifarlo tra altri dieci anni, ad assistere allo show ci saranno soltanto degli automi (o è già cosi?). (Angelo D’Elia)

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