POP

Elettra (foto di Luciano Cozzolino)

“Sognare altro non è che avere un obiettivo senza data di scadenza”
Intervista all’autrice di Maledetto. Avere qualcosa da dire e riuscire a comunicarlo: l’opera di un’artista che ben comincia…


di Pietro Doto

INTERVISTA – Alcuni piccoli ma significativi segnali, da un po’ di tempo, ci suggerivano di orientare lo sguardo verso l’esordio di una donna di carattere. Elettra. Nome accecante, di suggestioni mitologiche.
Il suo singolo, Maledetto, contiene passaggi sferzanti, molto incisivi, soprattutto per quanto connessi all’oggi, sufficienti a percepire il peso specifico dell’autrice, come minimo promettente.
In attesa del disco vero e proprio, abbiamo voluto scommettere su un’intervista piovuta dal cielo per darci il meglio di quanto sperassimo. Elettra si è aperta con piglio deciso, ne abbiamo approfittato per discutere non solo di musica, in particolare, per approfondire un interesse sempreverde, cioè il vissuto della donna nel nostro settore. Il suono è curato, un elettro-pop di immediata acquisizione, con stile. Le idee sono chiare. La donna ha carattere. Ora tocca definitivamente all’artista.

Maledetto è un brano elettro-pop dalle forti contaminazioni blues: puoi evidenziare le connotazioni blues del pezzo (meno evidenti), ma anche del resto del disco in arrivo (“metto il blues in tutto quel che faccio”)?
Il blues è il sottobosco musicale da cui prendono vita forse tutte le mie canzoni, non solo da un punto di vista prettamente armonico o stilistico, ma soprattutto da un punto di vista di attitudine alla vita. La cosa più importante che ho imparato ascoltando, cantando e studiando la musica blues è proprio la sua estrema, cruda e sfacciata verità. Verità nella storia raccontata, nei testi, l’aver vissuto realmente quello che si scrive, essere sempre se stessi in poche parole. Per me il blues è un po’ una filosofia di vita. In tal senso il testo della canzone potrebbe essere tradotto con “metto la me più cruda e vera in tutto quel che faccio”. Questo è forse il filo conduttore di ogni brano che scrivo.

Pensi che ci sia un pubblico potenziale ben definito per la tua proposta musicale?
Lo spero, ma non ne ho la certezza. In realtà non ci penso a queste cose mentre scrivo un brano. Non ho decisamente una personalità da imprenditrice, anzi. Scrivere canzoni nasce dall’esigenza di dar voce alle proprie emozioni e percezioni della realtà, sperando che chi le ascolta possa ritrovare un pezzettino di se stesso o delle sue idee. Dopo l’uscita di Maledetto inaspettatamente il mio pubblico ha oltrepassato il confine delle amicizie e delle conoscenze, linfa vitale per una cantautrice emergente e sconosciuta, e questo non può che riempirmi di gioia.

Dal vivo dobbiamo aspettarci suoni più crudi?
Assolutamente sì. Purtroppo non amo l’utilizzo dal vivo delle sequenze, ho come l’impressione che tolga respiro alla musica. In più per riprodurre alla perfezione dei brani molto prodotti in termini di suoni non basterebbe una band di quattro elementi. Così ho deciso, insieme ai miei fantastici musicisti, di riportare i brani alla loro essenza più cruda. Lavoro che abbiamo dovuto interrompere in questi mesi di lockdown per ovvi motivi, ma che riprenderemo presto. Credo sia anche più stimolante per noi artisti/musicisti e più interessante per chi ascolta un brano od un disco, trovare poi dal vivo qualcosa di diverso. (Continua dopo il video)


“Maledetto il mio disordine mentale / Che mi fa misurare tutto al grammo”: è forse la frase più centrata del testo, definisce l’attualità in modo esemplare. Forse il malessere quotidiano si nutre di morbosità? Secondo te, perché?
Pensa malessere e avrai malessere. Pensa benessere e avrai benessere. Io credo che alla fine ci stiamo bene nel malessere. Avere e cercare costantemente un nemico aiuta a non pensare, a non farsi domande, a rimanere sempre nello stesso punto confortevole e sicuro. Quando capiremo che il nostro peggior nemico vive proprio dentro di noi, forse riusciremo a fare un po’ di ordine.

Come si fa a scrollarsi di dosso tale peso e “dare vita ad un nuovo corso”?
Individuando il nemico infimo con cui conviviamo senza neanche rendercene conto. Credo sia necessaria una rivoluzione spirituale, culturale, che coinvolga l’intera umanità, in cui l’essere umano, e non l’interesse personale, torni ad essere al centro dell’universo. Per un attimo ho sperato che questo isolamento forzato potesse essere l’inizio di un nuovo cammino, ma da quel poco che ho potuto vedere in questi primi giorni di ritorno alla normalità, non mi sembra siamo cambiati poi così tanto. Forse dovremmo capire che proprio la normalità, che tanto ci è mancata in questi mesi, è il nostro problema.

Nella tua vita, prima la danza, poi è arrivata anche la musica. Il palco sembra essere il denominatore comune.
Si, il palco è il mio habitat naturale. In realtà lo soffro tantissimo, proprio in senso fisico e mentale, ho talmente tanta ansia e paura prima di un concerto che potrei venderle. Ma ogni volta, puntualmente, neanche a metà della prima strofa del primo brano in scaletta, scatta qualcosa di magico e riesco a convogliare e trasformare ogni emozione negativa in energia positiva. Dico sempre che il giorno in cui smetterò di provare ansia e disagio prima di salire sul palco, sarà anche il giorno in cui smetterò di cantare e scrivere canzoni.

Quali sono le difficoltà concrete del vivere la scena musicale in qualità di donna? Come le affronti?
Devo dire la verità, non mi sono mai sentita discriminata nel mondo musicale in quanto donna, o perlomeno non ho mai avuto questa percezione. Sicuramente siamo in netta minoranza rispetto ai colleghi uomini, purtroppo come in ogni settore della nostra società, ma dovremmo fare un’intervista solo su questo per quanto è ampio il discorso. Una volta, parlando proprio di questo argomento, mi è stato detto che il motivo per cui ci sono più cantautori che cantautrici è perché gli uomini scrivono meglio. Ovviamente mi sono messa a ridere, non perché gli uomini non scrivano bene, ma perché credo che sia come dire che lo sport maschile sia migliore di quello femminile a causa delle nostre fisicità differenti. Credo sia retaggio di un maschilismo che andrebbe decisamente superato. Affronto tutto questo semplicemente fregandomene di preconcetti e pregiudizi, anzi nella mia band ho dovuto inserire la “quota azzurra” (ride), perché per ¾ siamo tutte donne.

Sei anche madre. Come ci si sente a voler vivere un proprio sogno quando tutto ciò che c’è intorno ti dice che non puoi permetterti di sognare?
Credo che, dopo educazione e rispetto, l’insegnamento più grande che si possa dare al proprio figlio sia proprio quello di non smettere mai di sognare. Con impegno, duro lavoro, costanza e determinazione si può raggiungere qualsiasi obiettivo. E, guardando da un’altra prospettiva, sognare altro non è che avere un obiettivo senza data di scadenza. Credo che il problema sia più concreto che astratto, nel senso che se fare il cantautore, il musicista, o l’artista in generale, fosse considerato davvero un lavoro, al pari di sognare di diventare un’astronauta o un veterinario, non avremmo neanche la necessità di affrontare l’argomento. Ma, appunto, vivendo in una società in cui fare il musicista o scrivere canzoni è ancora considerato un hobby, un passatempo che fa ‘divertire’ (cit.), come mamma, che deve pagare la spesa e le bollette, quotidianamente mi pongo mille domande. La risposta, grazie anche alla mia straordinaria famiglia che mi supporta in ogni scelta, è sempre la stessa: credo che per mia figlia sia più importante avere una mamma felice, realizzata e un po’ povera (ride), piuttosto che avere una mamma con il posto fisso ma con un lavoro che la rende infelice.

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