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Le mini-recensioni di Lester
Il punto di ascolto mensile a cura della Redazione

Quomo
Alessandro Errichetti
The Morras
Emanuele Inserto

 

Quomo – “Il mondo della Mancanza”
(Artist First, 2020)

RECENSIONE – Fuggire dalla ragione, darsi all’irrazionale e avere il coraggio per guardare oltre il nostro orizzonte mentale autoimposto: Quomo, ventiquattro anni, campano di origine ma tiburtino da sempre, sembra volerci invitare a fare proprio questo. Il mondo della mancanza snocciola in appena 7 tracce il racconto di un percorso psicologico impegnativo ma non impossibile.
Dal Rumore Mentale alla Pace si possono apprezzare ottimi momenti di musica d’autore, dal piglio acerbo ma sempre e costantemente ispirato (Il mondo della mancanza su tutte). Oltre al grande timoniere del prog di matrice tricolore degli anni ’70 e ’80 (L’alba e la luna) così possente nella sua vocalità, l’intera produzione strizza l’occhio spesso e volentieri all’elettronica degli anni ’90 (Respiro).
Tanta (a volte forse troppa) creatività, sintomo di un’identità genuina e di un viaggio personale complesso e ragionato. Quomo è giovanissimo e, oltre ad una scintilla sempre accesa negli occhi, possiede già una buona dose di maturità (Com’è difficile giungere in fondo alle cose che il mondo invita a scoprire se in fondo non sai mai cosa c’è al di là della luna). Un’artista da tenere d’occhio. (Stefano Capolongo)

 

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Alessandro Errichetti – “Behind the Beyond”
(G&M Recorfonic, 2019)

RECENSIONE – Difficile pensare a questo album di Alessandro Errichetti come ad un esordio discografico. Il cantante e chitarrista romano, infatti, riesce con grande maestria e sicurezza a produrre una scrittura semplice ma efficace, ben arrangiata e molto variegata quanto a stili e contenuti. L’atmosfera musicale cattura e incuriosisce come la trama di un buon film d’azione dove ogni scena rivela qualcosa della successiva.
Si tratta di un racconto articolato e complesso con un filo conduttore tutto da scoprire. Il titolo Behind the Beyond è già un indizio: “Dietro l’Aldilà”. Un luogo magico, onirico, evocato da questa musica che crea emozioni sempre diverse perché diversi sono gli stili ai quali si ispira. Ciascun brano è scritto per tracciare un diverso momento di una storia unica, quella di un uomo e di una donna che si raccontano a vicenda. I testi descrivono le emozioni di questi personaggi che si smarriscono, soffrono, si disperano, ma che sono anche capaci di rinascere.
La musica di Errichetti sostiene sempre con molta efficacia e attinenza questi temi, riuscendo a creare sintonia fra il racconto e la risonanza emotiva che ne scaturisce in chi ascolta. Everywhere And Nowhere è la prima delle otto tracce del disco e ne è la più emblematica. Disseminate qua e là, fra gli otto brani dell’album, le memorie musicali affiorano e gli assoli di chitarra aprono allo stile inconfondibile di grandi maestri quali Beatles, Pink Floyd, Porcupine Tree.
Il panorama musicale al quale l’artista si ispira è vasto, ed i richiami a stili e generi è evidente, tuttavia Errichetti costruisce un lavoro molto personale dosando e amalgamando ad arte brani di gusto rock tradizionale, a ballate pop più leggere e a pezzi di sapore classico. La sua chitarra, suonata con grande competenza e intensità, fa da filo conduttore e contribuisce a dare omogeneità alla scrittura.(Francesca Moschetti)

 

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The Morras – “Sarebbe stato bello”
(Autoprodotto, 2019)

RECENSIONE – Se siete in fissa con cose come “i favolosi anni ‘50”, le Cadillac con le pinne, le motociclette, la brillantina e tutto quell’armamentario che si può riassumere in una sola parola, Grease (a proposito di brillantina), questo agile dischetto potrebbe anche fare al caso vostro.
I The Morras passano in rassegna tutte le declinazioni del mito americano, tutto rigorosamente all’italiana. C’è il rock and roll in stile Bill Haley and The Comets, il country in versione quadriglia, un po’ di blues, un po’ di doo wop, il tutto con spirito estremamente (anche troppo) allegro e, tutto sommato, inoffensivo.
Il disco è stato registrato da Alessandro Meozzi (Statale 66, Lora and The Stalkers) al suo Studio 66, quindi la qualità del suono e della produzione è assicurata, le chitarre hanno il giusto sound, particolare attenzione poi per il sax, a cui spesso è demandata la parte solista, proprio per ricreare in maniera quasi calligrafica il suono di quei tempi. Manca un po’ di personalità, soprattutto nelle parti vocali, per una proposta che non riesce a trovare uno spessore che si distacchi dal puro e semplice divertissement. (Angelo D’Elia)

 

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Emanuele Inserto – “Millefuochi”
(Autoprodotto, 2019)

RECENSIONE – Millefuochi è il quarto disco del cantautore romano Emanuele Inserto. Cantautorato, un pizzico di rock (innocuo), un granello di new wave (mansueta). In sostanza, musica leggera italiana. Al di là dei ‘sapori’, il percorso musicale di Inserto segna un momento di maturità, in cui la vocazione del nostro è incastonata in fini arrangiamenti che, però, a volte valorizzano, a volte svalutano le idee e la loro resa.
Nonostante la genuinità del lavoro sia fuori discussione, rimane il rischio della banalità: una ‘semplicità elegante’ è la cifra interpretativa del disco (contributo massiccio di Francesco Ferrarelli, Enri­co Belardi e Fab Darmini), ma l’effetto deja-vù è pressante, senza l’ombra di un giustificato moto di sfida. Emanuele modula la sua voce in modo pressocché identico a sé; i testi battono strade pressocchè ordinarie. Nella loro semplicità, le idee sono buone, il salto, però, di là da venire e da affidare all’affiatamento fra istinto e ragione. Qui la ragione prevale, finendo per svilire le potenzialità dei difetti.
Dora Maar, posta in apertura, racchiude l’intero album. Detto questo e considerando i tempi, da un certo punto di vista, siamo comunque di fronte ad un prototipo di rivoluzionario contemporaneo. (Pietro Doto)

 

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