JAZZ

Kamasi Washington – (Foto di Nael Manuela Simonetti)

Here we go – Kamasi Washington, ya!

20 luglio 2017 – Ex Dogana | Viteculture Festival

LIVE REPORT – Kamasi il negromante, con la stazza di un totem dal respiro gonfio, è tornato a Roma a quasi due anni dalla sua prima in quel del Monk, con una formazione aggiornata e una grandeur che il palco di un club rendeva insospettabile, almeno ai livelli di guardia raggiunti durante il concerto all’Ex Dogana, in quel del Viteculture Festival.
Perché nessuno si è stracciato le vesti? Perché corpi ignudi a tracolla di altri non hanno pestato l’asfalto fino a riscoprire radici e radici? Forse il pubblico italiano ha perso la sua vitale propensione a lasciarsi andare del tutto? Segno dei tempi…?!

Eppure mentalmente è successo di tutto, nella sfera tribale tinta di jazz, funk & soul in cui ci ha gettato lo spirito guida americano di ultima generazione. Avrebbe potuto semplicemente aprire le braccia per accogliere tutti istantaneamente, come sempre lascia che le ali ad aprirsi siano le estensioni naturali della sua ‘orchestra’. Direttore umile e consapevole, Kamasi Washington lo trovi lì, a dettare mood e tempo, a tenerti per mano e riportarti sulla strada eretta, a puntualizzare quando è necessario, a mostrarti le stelline da pilota, che luccicano di talento puro.

C’è un particolare, nell’esibizione come in tutta la musica prodotta da questo omone rassicurante: la chiarezza. Purista o meno del genere, chiunque avrebbe compreso ogni secondo, ogni passaggio dell’esecuzione musicale, senza bisogno di alcun dizionario, perché, in un contesto totalmente anacronistico per gli affetti da modernità, uno show fatto di pochi pezzi prolungati, assolo a go-go, scenografia a due batterie, non si è mai, dico mai, avuta la sensazione di musicisti che si sbrodolano su se stessi.
E Washington ne è l’esempio brillante, un sassofonista capace di misura e intensità, che sa bene quanto far durare un’emozione finché ti rimanga sottopelle. Per essere chiari, come lui: niente jazz da platea affettata e sciorinata di note all’infinito, ma gusto per il gusto e giri armonici limpidi, intensi e intuibili (non nel senso di premeditabili). E suoni e timbri assolutamente attuali.

In un modo trasversale, trattandosi pure di un ensemble privo di chitarra, la mente è andata comunque alla cara Allman Brothers Band, affine ma allo stesso tempo lontana dal genere di ‘groove’ di Kamasi: scontato, sì, il rimando alle doppie pelli, meno quello al tipo di purezza di un chitarrista come Duane Allman, intriso di tatto, gusto limpido per la melodia.
Ad ogni modo, il mastodontico triplo LP The Epic è stata la fonte primaria di tanta bellezza, che dal vivo raggiunge la coniugazione perfetta di una musica totale, non solo da contemplare, ma anche da vivere e ballare. Già… proprio come risvegliare i morti. Change Of The Guard e Re Run Home vanno tenute a mente.
E basta, tutto qua. Se vi pare poco, scriveteci in privato, potremmo suggerirvi un buon supporto. (SEO)

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