Rock / Cantautorato

Luciano D’Abbruzzo

31 Maggio – L’Asino che Vola
La differenza tra realtà e finzione, in una serata tinta di confortevoli verità

Eccolo qua, il premio De Andrè, tutto romano, in una serata rivelatasi ideale, per l’atmosfera famigliare e l’occasione rara negli ultimi tempi, quella di potere vedere il nostro accompagnato dalla band, i Mig. Eh già, perché in attesa del nuovo album (previsto a breve), era un po’ che non si vedeva D’Abbruzzo con tutta la truppa.

All’Asino che Vola, un pubblico di affezionati prima di tutto, sentori di casa, una rilassatezza ideale. Ad introdurci, piccola sorpresa, l’Erin Mellon Trio (Alessandra Illuminati, Federica Mazzagatti, Elisabetta D’Aiuto), trio femminile romano dalla cadenza anglofona, dagli intrecci vocali passionali e le melodie accattivanti. Crosby, Stills and Nash in versione gentile? (Che bello!). Un po’ Meyer, un po’ soul, persino un po’ spice girls che giocano col folk, infine un po’ Italian’s Got Talent che “Siete pronte per fare le professioniste” è proprio così. Semplicemente irresistibili. Luciano trova un tappeto rosso steso al suo arrivo.

D’Abbruzzo conferma fin da subito di saper bene cosa fare sul palco. La sua proiezione naturale è il piano e incanta con alcune esecuzioni in solitario, con quella voce profonda quanto Zero e Cocciante, ma con un’inclinazione rock per la quale potremmo amare lui, non gli altri (e nessuno ce ne voglia!).

Il fatto è che Luciano è convinto di quello che canta e convince anche te, abbiamo incontrato un artista sciolto, con l’unica pretesa d’essere ascoltato. Siamo, quindi, nella sfera dei diritti umani. E di umanità ce n’è tanta nelle sue parole. Semplici, non banali.

Rondine a primavera e Kaos, con umori opposti, i 2 momenti più intensi, con la seconda simbolicamente perfetta a concentrare l’alchimia del gruppo, intensa senza essere stridente, chirurgica ma con un’anima, un’anima rock, priva di cieche invasioni. Tale esito è, probabilmente, dovuto al connubio tra l’inclinazione cantautoriale del protagonista e un ensamble trasversale, abituato a gestire anche sonorità jazz, forte di una sensibilità che non può che propendere per tal rock così rifinito (sottolineiamo, in accezione positiva), sicuramente funzionale al prodotto finale. È un rock d’Autore, ecco.

Nel fluido svolgersi del concerto, Luciano ci ha regalato un inedito e ha chiuso, d’obbligo, con la canzone del premio De Andrè: L’ultima festa. Davvero non poteva esserci finale migliore. La canzone, e la suggestione del momento non c’entra, è davvero la migliore che noi abbiamo ascoltato dell’artista, sa di ‘svolta’; dal vivo l’esecuzione è stata viscerale, crescendo e finale tutto insieme dritto a segno. In questa composizione, ci pare, venga fuori nella maniera più netta la personalità di Luciano, senza nulla perdersi o disperdersi.

 

C’è gran bella musica in giro per questa città. Luciano: afferra l’attimo. (SEO)

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