Recensione
Lucio Leoni
La favola seria di Lucio Leoni, funambolo verbale in bilico sul flusso di coscienza
Ascolta il disco Il lupo cattivo
(Lapidarie Incisioni/iCompany, 2017)
RECENSIONE – Lucio Leoni, con il suo terzo album, Il lupo cattivo, si ritrova in una foresta di simboli utile non per perdersi, ma per ritrovare la strada. Il lupo cattivo non è solo metafora dei pericoli del mondo, ma soprattutto ostacolo interiore che si manifesta sotto forma di paure e pregiudizi, rendendo difficile distinguere le vittime dai carnefici.
C’è il monologo di apertura de La pecora nel bosco che si mescola un po’ con la nostalgia, un po’ con il rammarico di lettere d’amore spedite e mai giunte a destinazione, di storie d’amore che si infrangono sull’abitudine, sull’assuefazione e sull’aumento di peso. Ne Le interiora di Filippo, vera perla del disco, la simbologia del cibo si combina alla secolarizzazione dei riti e delle istituzioni, per poi essere condita da un delizioso e consapevole “ritornello pop” che si imprime in testa già dopo il primo ascolto. Un bel brano, pensato, che evidenzia una certa intelligenza compositiva e degli arrangiamenti e che avrebbe potuto essere un ottimo proemio in un concept album in cui sporcarsi letteralmente le mani.
E poi ancora Impossibile essere possibile, diluvio verbale che si interroga sui limiti dell’essere, tra atto e potenza, e la fragile Io sono uno, cover e tributo a Luigi Tenco che unisce un brano del cantautore e delle sue dichiarazioni del 1966 sulla canzone di protesta.
Lucio Leoni sembra quasi prendere le parole in mano per staccarne la pelle – il significante – e giocare con suono e senso, in una continua e puntuale reinvenzione della lingua. Il lupo cattivo è un disco con un peso specifico incredibile, in cui ogni secondo è un condensato di suoni, ricerca testuale, stratificazione linguistica, rievocazione emozionale. È un album immaginato, pianificato e, solo in un secondo momento, detto, raccontato in modo impetuoso e ipnotico, con un meccanismo narrativo forse più vicino al teatro, alla letteratura o alle serie tv, piuttosto che alla musica e che inchioda l’ascoltatore nell’attesa di conoscere l’epilogo. (Letizia Dabramo)