CANTAUTORATO
Lucio Leoni – (Foto di Giovanni Marotta)
“Il momento è buono, pubblicalo adesso” – Buona lettura, parte seconda
di Pietro Doto
INTERVISTA – Eccola qui, la seconda parte della nostra chiacchierata con Leoni. Piuttosto che perderci in un terzo grado sui testi delle canzoni del cantautore romano, che potete trovare altrove e dovunque, abbiamo preferito parlare del disco Il lupo cattivo dal punto di vista musicale e strettamente artistico. Gestazione e composizione, accoglienza e rapporto con la critica. Per capire quanto c’è di umano e quanto di disumano, in un essere musicista. LESTER nel frattempo e in anticipo, ringrazia per la generosa attenzione.
Il Lupo Cattivo è stato registrato nel gennaio 2017: rispetto alla pubblicazione è passato del tempo (nov. 2017) e alcuni pezzi venivano già da lontano. Come gestisci questa ‘gravidanza’? E come vedi il disco oggi? Rifaresti qualcosa?
La gravidanza del disco è un macello, nel senso che ci sono milioni di interferenze, perché il confronto sul prodotto – chiamiamolo prodotto – che stai per tirare fuori è per forza di cose continuo e con tanti punti di riferimento diversi: ufficio stampa, booking, band e amici musicisti, ecc… Dal punto di vista umano è tosta, nel senso che il lavoro sul disco per quanto mi riguarda è un processo che si porta via 3 anni, l’ideazione, il ragionamento, il pensiero, l’elaborazione, la scrittura, l’arrangiamento, il mix…
Ricevi consigli sul periodo migliore in cui pubblicare?
Sì, sì… questo disco è stato registrato nel gennaio 2017 perché doveva uscire a marzo 2017; a marzo 2017 i consigli di un entourage erano: “Il momento è buono, pubblicalo adesso”. Io mi sarei preso tutt’altri tempi, per come avevo immaginato il disco io, sarei andato a registrare a giugno-luglio, per farlo uscire a gennaio 2018! Poi, in realtà, “sbrigati-sbrigati-sbrigati-sbrigati”, per cui, va bene, sbrighiamoci, perché evidentemente conoscono il mercato meglio di me, avranno ragione. La gestazione di questo disco è stata strana, non ha seguito i miei tempi naturali.
Credi che tale approccio abbia pagato?
No, assolutamente no! Sono assolutamente convinto di no, tant’è che poi alla fine abbiamo bloccato tutto e siamo usciti a novembre. La gestazione dei pezzi è stata nervosa, veloce, frenetica e secondo me tutto il disco risente di questa lavorazione un po’ di fretta e lo avverto tuttora.
In cosa?
Dal mio punto di vista c’è poca chiarezza, non è uniforme come l’avrei voluto. Ok, Lorem Ipsum di suo non era uniforme ma era una un’opera prima e mi convinceva il fatto che non fosse uniforme. Questo disco lo avrei voluto molto più compatto, ma non è così, perché fatto di fretta, poi per il fatto che si sia rilavorato su altri brani… Stile Libero, per esempio, è un brano uscito dopo, un brano che io ho scritto dopo quella sessione di gennaio, perché è stato scritto sull’onda di: “Ok, questo disco qua non ha un cacchio di singolo: siamo in un mare di merda!”. Ah ah! Secondo me è un disco che non che non riesce a esprimere il suo potenziale fino in fondo. Dal punto di vista anche della produzione in sé, è una produzione che in qualche modo manca di incisività, in una serie di aspetti. Rifarei un sacco di cose.
Eppure ci sono delle cose pregevoli. La tua voce viene fuori, mi sembra che se ne parli poco, è valorizzata perché nettamente in primo piano, c’è un lavoro musicale interessantissimo, tanto che mi sono immaginato il disco senza voce, solo strumentale, un disco fighissimo, che d’altra parte rimane un po’ in sottofondo.
No, io non sono soddisfatto dal punto di vista del ‘confezionamento’. Il lavoro di arrangiamento, i pezzi in sala, prima di registrarli, suonavano da dio e questa cosa che hai detto è speciale, nel senso che io me lo sono immaginato: “Ma perché ce devo mette’ la voce, sta band suona da dio, ci sono degli incastri meravigliosi, metterci la voce davanti significa togliere importanza a sta roba qua, è un peccato…!”.
Sono d’accordissimo e infatti Il lupo cattivo, la coda, l’ultimo brano, è solo strumentale perché è stata una scelta, nel senso che l’intenzione era proprio: “Ok, ultimo pezzo del disco, lasciamo la band, diamo risalto a questa band che se ne va da sola perché deve esistere lo strumentale in questo disco qua”. Potevamo dare ancora di più strumentalmente secondo me, dal vivo questa roba è aumentata.
La band! Le Sigarette!!
Che voi sapè…
Mettiamola così: chi fra i musicisti che hanno partecipato al disco ha dato il contributo maggiore?
Guarda, è difficile tirarne fuori uno in particolare, nel senso che ognuno dal suo punto di vista ha fatto una roba incredibile. Filippo Rea, il ragazzo che si occupa dell’elettronica, delle tastiere, è il mio referente di pensiero e di scrittura, io con lui costruisco il ragionamento intorno al disco, per la serie ‘su questo disco parliamo di’. È tipo Sgalambro per Battiato…
Ed è lo stesso della canzone Le interiora di Filippo…
Esatto. Poi c’è Daniele Borsato, un chitarrista immenso e forse il più grande chitarrista classico che c’è in Italia in questo momento, è strepitoso e si sente poco perché Rico (Riccardo Gamondi degli Uochi Toki – n.d.r.) tiene a tenerlo molto basso nel mix, però in sala e dal punto di vista dell’arrangiamento è strepitoso. Infine, sì, Le Sigarette!!, Lorenzo Lemme e Jacopo Dell’Abate: sono due persone umilissime che si sono messe a completa disposizione di questo progetto, hanno un sound caratteristico, particolare, senza di loro non avrebbe funzionato così questo disco, sono quelli che hanno dato di più in assoluto perché sono stati la novità, hanno dato chiaramente un suono nuovo al nostro lavoro. Lorenzo ha una capacità ritmica che è sconosciuta al 90% dei batteristi italiani, non perché sia un grandissimo tecnico ma perché ha un interesse nei confronti dell’incastro ritmico che io ho visto raramente nei batteristi.
Sulla tua voce, invece, hai in qualche modo sperimentato o fatto un percorso?
Sono così, da questo punto di vista, completamente autodidatta, però io ho fatto la tesi di laurea sulla voce, ipotizzavo la possibilità di scrivere o di costruire uno spettacolo teatrale solo a partire dalla voce, senza un testo reale, senza una sceneggiatura, una drammaturgia vera e propria, costruire senso solo attraverso il suono vocale… canto armonico, Demetrio Stratos, la maschera, il lavoro con la maschera… mi sono fatto un ‘bucio di culo’ di studio sulla voce; ma poi di pratica poco. Comunque è stato un lavoro utile.
Ti faccio una domanda che, secondo me, andrebbe fatta sempre: la scaletta come la decidi?
‘Na tragedia, per me è ‘na tragedia!
Quella de Il Lupo Cattivo ti soddisfa?
Non mi soddisfa mai la scaletta, alla fine. In realtà la scaletta non la decido io fino in fondo, la faccio decidere prima agli altri, mi faccio dare prima le sensazioni dagli altri musicisti che hanno collaborato e poi… in realtà è una concertazione, non sono io a farla. Ci sono diversi ragionamenti alla base, ragionamenti viziati; perché il pezzo più importante non può stare alla fine ma deve stare tra i primi tre, quindi il pezzo con cui apri e non è detto che sia quello che ci volevi mettere tu dal punto di vista di senso; perché la prima cosa che sentono è la prima cosa che gli rimane in testa; e blablabla… Ci sono milioni di cose che inflazionano questo processo. È proprio una questione di equilibrio malato la scaletta del disco!
Quando c’è un’idea di insieme dell’opera è importante.
Mi risentivo Lorem Ipsum due mesi fa e io ero convinto che la scaletta fosse tutt’altra, comincia in un modo che io non me l’aspettavo, cioè il primo pezzo… dico: “Ma che cavolo! Ma abbiamo aperto co’ sto pezzo!? Ma che siamo scemi?!”. Non hanno mai senso le scalette, per quanto mi riguarda. Scaletta o non scaletta ai fini del disco ci deve essere un equilibrio.
Come ti muovi a livello di scrittura? Tu cosa fai, pieghi la musica al testo o viceversa?
Le canzoni escono fuori più o meno come canzoni, nel senso che scrivo voce e chitarrina, poi viene Daniele, che sa suonare la chitarra e la rende una cosa ascoltabile, poi si porta in sala e con i musicisti si trova un groove. Io lavoro così, lavoro dicendo: “Ok, ragazzi, qui è inverno, fa un freddo di merda ma noi siamo super contenti, suonate!”; poi il testo lo piego a quello che loro suonano. Però io lavoro proprio dal punto di vista teatrale, sull’improvvisazione con i musicisti, nel senso che gli chiedo di improvvisare; ma per improvvisare, tu un canovaccio glielo devi dare, gli devi dare un contesto, ma musicalmente non esiste un rapporto tra testo e una musica precostituita.
Nel tuo caso io lo immaginavo come ideale per assecondare l’aspetto teatrale della tua proposta artistica, assecondare con la musica un’atmosfera ispirata dalle parole.
Sì, l’immaginario c’è sempre, il primo incontro con Le Sigarette!!, per esempio, è stato: “Ok, stiamo lavorando al lupo cattivo: c’è il bosco, c’è la pecora, c’è il lupo cattivo; chi è il lupo cattivo, ecc…”. Prima li porto dentro l’immaginario che io mi sono costruito rispetto al racconto che snocciolo nelle canzoni e poi di canzone in canzone gli do un ulteriore immaginario.
Probabilmente questo modus operandi agevola l’utilizzo della lingua italiana.
Sono d’accordissimo. La lingua italiana nella musica recente si sta dimenticando proprio… Ma anche la forma che viene utilizzata per cui, che cacchio ne so, il ritornello deve entrare dopo neanche un minuto…
No, queste cose sono abominevoli! Il suicidio dell’arte.
Uno non fa in tempo a parlare italiano! Non puoi, devi troncare gli articoli, la frase non può avere un senso logico costruito…
Spesso i tuoi pezzi hanno dei testi molto lunghi: non senti il rischio di scadere nella verbosità?
Guarda, mi interrogo parecchio perché effettivamente il rischio c’è, però il punto è quello che devi raccontare e se c’è un equilibrio interno… Io lavoro sui dischi, non lavoro sulle canzoni! Se c’è un equilibrio all’interno del disco tra verbosità e canzone va bene, non farò mai un disco solo parlato, l’alternanza, l’equilibrio o semplicemente il percorso che ti porta dal parlato al cantato deve esistere e sul progetto nella sua interezza.
Hai ricevuto il premio MEI (Meeting degli Indipendenti): cosa pensi dei premi e cosa hai provato a riceverne uno?
Di solito per vincere i premi ti devi iscrivere a un concorso, io non l’ho mai fatto, non mi sono mai iscritto a un cacchio, per cui questa roba qua è molto bella, perché è una roba assolutamente arbitraria, questo comitato che ascolta musica evidentemente ha deliberato in serenità che andava bene così. Per quanto mi riguarda, è la prima cosa in assoluto che vinco in vita mia, proprio in assoluto, per cui è stata un’emozione strana, a 36 anni vincere qualcosa. Vincere…
Vabbè dai, una medaglietta di quelle che si danno alle elementari…
Sì, vabbè, dai… ma mai il primo posto!!! Ah ah! La sensazione di vincere (che è una parola bruttissima) è strana, è nuova ed è elettrizzante, non te lo nascondo… è figo! La cosa bella di questo premio qua e che mi ha fatto molto piacere è che non è un premio dedicato a Freak Antoni perché la tua canzone è la più demenziale, o la più punk, è un premio dedicato alla creatività e mi ha fatto bene, cioè, essere riconosciuto come il più creativo, anche se non stiamo parlando di un premio di livello nazionale-internazionale.
Ha un suo valore, però!
Ha un suo valore, per me incredibile, agli Skiantos sono piuttosto legato dal punto di vista degli ascolti, della crescita, per cui… insomma, mi ha veramente onorato.
In relazione alla questione dei premi, c’è l’annosa questione della libertà critica. Cosa pensi della critica, oggi in particolare.
Guarda, il mio punto di vista, in questo momento storico, è che, esattamente come dal punto di vista musicale, arriva un sacco di robaccia; anche dal punto di vista giornalistico arriva un sacco di robaccia, ma questa è la conseguenza del fatto che oggi sono tutti fotografi, sotto tutti cantanti, sono tutti scrittori… Io credo che uno dei problemi della critica oggi è che nessuno si accolla di fare critica veramente, cioè… quant’è che non leggi una stroncatura di un disco!? Il voto peggiore che ottiene un disco è la sufficienza! Ma se è tutto sufficiente, ragazzi, la mediocrità dov’è allora? Così vale tutto, mannaggia!
Mi sembra tu abbia a cuore questo argomento, mi fa piacere!
Sì, certo! Guarda, ovviamente tu devi portare prima di tutto la tua professionalità, la tua esperienza, non ti puoi permettere di stroncare se non sai di cosa stai parlando, no?! Devi dimostrare che sei una persona che si può permettere di parlare di quell’argomento e questo è fuori discussione, perché se tu mi scrivi una recensione cattiva, ma non sai scrivere in italiano, a me non interessa! Mi dispiace, ma io pagherei oro per avere una brutta recensione scritta come dio comanda!
Ritengo sia altrettanto importante il ‘tono’ con cui ci si esprime.
Certo, però, secondo me, tu devi creare il contenzioso, cioè tu critico devi creare lo scontro! Lo scontro secondo me paga, devi creare il momento di domanda, sennò che stai a fa’, se vanno tutti bene. Lo scontro tra artisti e critica è vitale per la crescita di entrambi gli aspetti, che se continuiamo a leccarci il culo gli uni con gli altri, ragazzi, qui non andiamo da nessuna parte! Noi dobbiamo scontrarci, noi dobbiamo odiare voi! E voi dovete odiare noi! Non possiamo volerci bene, se ci vogliamo bene c’è un problema.