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CSA Brancaleone 


“Il sequestro avvenuto ormai più di due anni fa era illegale” 
Un piccolo episodio di controtendenza in una città immobile

di Simone Vinci

NEWS – Dopo oltre due anni sentiremo di nuovo parlare dello storico spazio di Via Levanna, dove il 22 Gennaio scorso si è svolta la conferenza stampa ad ufficializzare la restituzione alla città di uno dei luoghi di culto della vita notturna romana.
Era dal 2017 che lo spazio del Brancaleone era stato posto sotto sequestro, quando la giunta comunale, avvalendosi della tristemente nota “delibera 140”, accortasi della scadenza della concessione avvenuta quattro anni prima, decise di porre l’area sotto sequestro piuttosto che controllare che l’associazione avesse effettivamente richiesto per tempo il rinnovo della concessione stessa.
La stampa, ovviamente, scrisse molto di quello che era l’ennesimo sgombro di uno spazio sociale ‘abusivo’, millantando di allacci illegali alla rete elettrica e di abusi edilizi, accuse poi rivelatesi infondate, nella maggior parte dei casi.

Il Centro Sociale Autogestito Brancaleone nacque nel 1996, negli spazi comunali occupati di Via Levanna 11, quando l’allora giunta capitolina concesse la gestione dello spazio agli occupanti, regolarizzandone le attività. Da allora, ma anche prima a dire il vero, il Branca divenne uno dei luoghi preferiti dei giovani romani e non solo. Certo, con tutti i pro e i contro, come in ogni realtà sociale di questo genere, ma restava pur sempre un’area restituita ai cittadini e tolta all’abbandono. Abbandono in cui, purtroppo, versa ora la struttura, che richiede opere di manutenzione costose, nonostante il Tribunale del Riesame di Roma avesse disposto la restituzione agli assegnatari già nel Marzo del 2017.

Il caso del Brancaleone, risoltosi con il ritorno alle attività dell’associazione assegnataria della struttura, è solo uno dei tanti danni ai cittadini (e delle tante cause legali perse dal Comune di Roma) creati dalla famosa delibera 140, voluta dall’allora giunta Marino e diventata una vera a propria scure sulle realtà sociali romane durante questa amministrazione del sindaco Raggi.
La suddetta delibera nacque nel 2015 dopo lo scandalo ‘affittopoli’, quando la Corte dei Conti richiese al Comune di Roma di rientrare del danno erariale accresciuto da anni ed anni di malaffare nella gestione degli stabili di proprietà pubblica, per la maggior parte appartamenti nel Centro Storico della Capitale. La delibera, in sostanza, prevede il riordino delle pratiche di assegnazione degli spazi comunali, i controlli fiscali sui canoni di affitto relativi alle assegnazioni e così via. Purtroppo partì, fin da subito, una caccia alle streghe da parte del Comune di Roma contro le associazioni presenti sul territorio, che non tenne conto della cattiva gestione burocratica degli uffici pubblici della città, con pratiche di adeguamento e di assegnazione regolarmente depositate dalle varie associazioni ferme da anni in qualche cassetto e mai varate dalla Pubblica Amministrazione.

A farne le spese, in questi tre anni, sono state associazioni come La Casa delle Donne, come i comitati di quartiere di La Rustica e Ponte Galeria, ma anche associazioni per l’assistenza a malati e disabili come la VivalaVita Onlus o Il Grande Cocomero e poi teatri, aree per bambini, centri culturali e di aggregazione giovanile, realtà come la Scuola Popolare di Musica, campi sportivi di quartiere e, infine, centri sociali come il Rialto e il Brancaleone.
Come se il Comune di Roma avesse scelto la via più facile, ossia colpire la associazioni che operano sul territorio, e quindi i propri cittadini, scaricando su di essi la responsabilità di quanti, in tutti questi anni, hanno lucrato sulle spalle della collettività pagando affitti irrisori per appartamenti di lusso in centro. Le stime parlano di 25.000 appartamenti del centro storico, resta da chiedersi il perché a farne le spese, stando ai casi di cronaca cittadina, siano le realtà associative che, spesso, lavorano in condizioni difficili, come nell’ultra periferia, dove si impegnano ad offrire servizi alla collettività laddove le istituzioni non arrivano.

Si chiude, nel migliore dei modi per la cittadinanza, l’ennesimo capitolo triste di una storia di mala-amministrazione. La speranza della redazione di Lester è di non dover raccontare più storie di questo tipo e che il Comune si adoperi, finalmente, a promuovere la cultura, musicale e non, sul proprio territorio, negli interessi di tutti i cittadini.

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