POST PUNK


Pere Ubu – (Foto di Nael Manuela Simonetti)


Una patafisica puntualità

di Marco Pacella

LIVE REPORT – “Tonight at 10pm prompt”, stasera alle 22 in punto. Così annunciavano sulla loro pagina Facebook e così è stato: “Merdre!” avrebbe detto il panciuto personaggio partorito dalla mente di Alfred Jarry, da cui la band statunitense prende il nome nel lontano 1975. Con una precisione matematica (che raramente si assaggia sui palchi romani) e il leggero disappunto di chi è ancora in fila all’esterno, infatti, i Pere Ubu salgono in scena al Monk a distanza di 2 anni e mezzo dall’ultima volta che hanno calcato quel medesimo palco.
Di mezzo fra le due date un album nuovo, quel 20 Years in a Montana Missile Silo uscito lo scorso anno, che ci ricorda – se ce ne fosse bisogno – perché quando si parla di post-punk, art rock e altre etichette più o meno sensate, non si può non citare la band capitanata dal talento insieme sghembo e prezioso di David Thomas.

Proprio lui, David ‘Fuckin’ Thomas – come ribadisce lui stesso dal palco – si prende subito la scena, guidando il timone di questo manipolo di folli sapienti. Ciarliero, splendidamente maleducato, urla al microfono, canta la sua inconfondibile litania, racconta aneddoti, si incazza. Seduto immancabilmente per tutto il set, basco in testa e vino in bottiglia (rossi entrambi), come un maestro di cerimonie patafisiche dirige i lavori sul palco, e anche quando si spezza una corda alla chitarra, si sfonda il rullante della batteria, tiene botta da narratore navigato, imbevuto di spirito punk: “Quando si rompe una corda – dice – solo gli stronzi si fermano!”.

Così, dribblando abilmente inutili andirivieni sul palco per lanciare l’encore, i Pere Ubu mettono assieme quanto di meglio prodotto nella lunga carriera, alternando brani brevi e taglienti con ariose digressioni strumentali, a cui aggiungono le cover più che azzeccate di Kick Out the Jams e Sonic Reducer, seguite da un accenno strozzato di Smells Like Teen Spirit.
Una banda di anarchici che ha preso in mano i microfoni, interrompendo le trasmissioni da una futuribile stazione radio lunare: questo ci sembrano i Pere Ubu, nel loro perfetto e caotico miscuglio di sonorità acide, linee di basso iperpresenti ed effluvi di clarinetto e theremin, a raccontarci una storia inverosimile di cui sembrano ancora essere gli assoluti protagonisti.

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