ROCK


Domovoi

 

‘Esco la notte e sfogo tutta la mia rabbia’

di Angelo D’Elia

RECENSIONE – “Esiste un solo tipo di Blues, e si ottiene quando un uomo ed una donna si amano”. Cosi diceva Son House, uno dei padri fondatori del blues, che con il sound grezzo della sua slide ha forgiato lo stile di innumerevoli schiere di chitarristi nell’avvicendarsi delle ere geologiche del rock. Quest’uomo e le sue parole dovevano essere ben presenti nella mente di Daniele Failla (o forse no, ma a noi ‘analisti’ piace creare queste strane connessioni), quando ha cominciato a comporre questo bell’esordio dei suoi Domovoi. Fatto sta che il disco è tutto incentrato sulla sua slide guitar e, soprattutto, parla di un uomo e di una donna che si amavano. Poi qualcosa è andato storto.

Messa giù così, potrebbe sembrare che si parli di un lavoro acustico, dalle tonalità dimesse ed intimiste. Neanche per sogno. Qui elettricità e decibel abbondano, le chitarre suonano corpose e sature, come si usava nella seconda metà degli anni ’90. Di blues ce n’è, e tanto, ma s’insinua sottopelle come un presagio, presente più come attitudine e mood generale, che come forma canonica. Verrebbero alla mente, per approccio alla materia, i Blind Melon, ma con umori decisamente meno ‘roots’, oppure i Soundgarden più oscuri e malinconici di Blow The Outside World.

Si parla d’amore, si diceva, o meglio della sua fine. Questo disco attraversa tutte le fasi umorali della fine di una Storia: la rabbia, la delusione, lo sfogo, la rassegnazione, ma lo fa con potenza e sfrontatezza, in composizioni che alternano lampi di furia incendiaria a momenti di calma, di sospensione, di attesa, sostenuti spesso dalla sola chitarra slide di Failla, ed è forse in questi momenti che questo lavoro alza il livello. I pezzi più veloci ed ‘arrabbiati’ hanno senz’altro un bel tiro (e indubbiamente in sede di live assumeranno consistenza ancor maggiore) ma, ad ascoltarli su disco, sono quelli più dimenticabili.

Sono i momenti più riflessivi, le attese, i crescendo, a rimanere davvero impressi e a sorprendere. In pezzi come Superficiale, per esempio, che parte lentamente, con la slide a creare un andamento melodico sbilenco, ma che cresce sempre di più, supportata nel gran finale dalle tastiere di Matteo Failla  anche batterista. O come Blues, nomen omen, ma suonata con piglio scarno ed oscuro, tutta d’atmosfera, a confermare che sì, le dodici battute sono sempre quelle, ma le si possono affrontare con gusto e personalità. A concludere la scaletta, l’episodio migliore, quello che tira le somme. Questa Fortuna chiude il disco in un crescendo di chitarre acide e voci sfumate, in lontananza, a rimarcare una verità dura e dolorosa, ma inevitabile da affrontare.

Un disco dedicato a chi esige che le chitarre suonino ancora in un certo modo (e temo che, oramai, siamo rimasti in pochi), e per chi è stato lasciato da uno/a stronza/o: servirà a comprendere il fatto che, in definitiva, un po’ stronzi lo siamo stati anche noi.

Domovoi – “Domovoi”
(Filibusta Records, 2019)

 

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