CANTAUTORATO / ROCK


I Santi Bevitori

Contro il cantautorato stitico

di Angelo D’Elia

RECENSIONE – Quando si archivia un progetto musicale sotto la voce ‘cantautorato’, da qualche annetto a questa parte, viene automaticamente da pensare a qualcosa di dimesso e malinconico. Precisiamo, non che non ci siano le dovute eccezioni, ma la tendenza generale è quella di prodotti – perché di questo si tratta – costruiti su misura per cullare una generazione il cui orizzonte non va oltre lo schermo piatto, posizionato a pochi centimetri dalla faccia, attraverso cui filtrare le problematiche del mondo esterno.

Canzoni fatte di piccole malinconie, testi ridotti all’osso enunciati da vocalità afone, di arrangiamenti, poi, neanche a parlarne. Ho forgiato (ecchete, ‘il fabbro della redazione’ ci mancava… – n.d.r.), in proposito, la definizione di ‘cantautorato stitico’. Più che di un ‘vorrei ma non posso’, si tratta di ‘potrei, ma non mi va’: ce la si canta e ce la si suona, ma senza impegnarsi troppo né nell’una né nell’altra cosa.

Per questo, quando ascoltiamo una proposta così vitale come quella de I Santi Bevitori, un po’ ci si apre il cuore. Vuol dire che qualcuno ha ancora voglia di uscire dalle quattro mura della propria cameretta, per scendere in strada e guardarsi intorno, c’è ancora qualcuno che ha voglia di raccontarci delle storie, anzi, delle storiacce! I testi di Luca Bocchetti ci immergono in un mondo profondamente calato in una quotidianità (lievemente) distorta da un’ottica stralunata, carica di profonda amarezza, ma sempre filtrata da una sottile ironia. Storie di destini segnati, di insoddisfazione, di redenzione, di botte prese e restituite, di cadute e del desiderio incrollabile di rialzarsi.

Quindi sì, ce la si canta, e anche molto bene, ma, soprattutto – e vivaddio – ce la si suona, e tanto! I Santi si dimostrano una band estremamente compatta e versatile, capace di padroneggiare con massima naturalezza una gran varietà di registri, con cambi di tempi e di atmosfera, anche nell’arco dello stesso pezzo, che rendono l’ascolto una scoperta continua. Si passa con nonchalance dal rock n’ roll stradaiolo dell’iniziale Furius (una storia straziante, restituita con toni epici quasi da western), al blues esistenziale de Il Senso Sconfinato, al tentativo di fusione tra samba e funk di Armstrong, con il Pino Daniele degli anni d’oro come nume tutelare.

A spiccare, in assoluto, il lavoro di chitarre di Alessandro Lopane, affilatissimo, sia quando è il momento di darci dentro con veemenza, sia quando le acque si placano, tessendo trame che non scadono mai nel banale, o nel superfluo. Un lavoro di tutto rispetto, quindi, che dimostra come si possa essere calati nella contemporaneità e raccontarla in maniera sentita e partecipe, senza scadere nella facile retorica o nel semplicismo, in barba agli stitici!

I Santi Bevitori – “Folle la corsa all’ospedale”
(Autoprodotto, 2019)

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