NEW WAVE / POP


Richard Von Sabeth

Il re del niente, in realtà, è ben più di niente

 

di Simone Vinci

RECENSIONE – Il disco di Richard Von Sabeth, aka RVS, al secolo Riccardo Sabetti, frontman e creatore degli Spiral69, è sicuramente da leggersi come un ritorno alle armi ed esprime il desiderio di voler abbracciare un pubblico decisamente più variegato, partendo, però, dalla solita fan base, che si trastulla tra serate rituali ed eventi nostalgici.

Dopo un periodo in cui la musica di questo genere si era arenata in quella specie di revival triste del post punk, a cavallo tra gli anni ‘00 e gli anni ’10, ora sembra tornare ad avere un minimo di vitalità. Dove porta questa vitalità ritrovata? È solo per uscire dalla cripta a farsi un giro? Siamo in una situazione ancora non definita, laddove in molti si stanno accorgendo che la musica italiana non può fermarsi solo all’ascolto di una serie di cantanti o gruppi che non sanno fare altro che infarcire tutto di citazioni calcistiche vecchie di oltre 20 anni ed invidiare la lunghezza del pene altrui.

Che possa essere questo genere ad abbracciare una fetta dei disillusi dell’it-pop e a far partire una specie di rivoluzione in cui, finalmente, si passi dallo sterile piattume di tastierine a qualcosa di più sofisticato, ma facilmente digeribile? Serve tornare a sperimentare in italiano anche in questo genere musicale che ha nelle sonorità pop la sua arma segreta? La mia, ovviamente, è una provocazione.

In questo The King of Nothing, RVS ricorre a tutta l’esperienza maturata negli anni con gli Spiral69 e a tutta l’influenza degli Spiritual Front, con cui condivide anche le sapienti mani di Andrea Freda, mettendo in atto una politica tanto cara a Simone H. Salvatori, ossia quella di inserire sonorità pop all’interno di un contesto goth/folk, il tutto condito da un ricercato (anche se a tratti invadente) accompagnamento orchestrale.

Come esordio solista non è per niente male, Richard Von Sabeth si è impegnato molto per la realizzazione di questo album, occupandosi praticamente di ogni aspetto della sua realizzazione, arrangiamento per orchestra incluso, ma dal frontman degli Spiral69 ci si aspettava qualcosa di più. Il disco è fruibile, godibile e ascoltabile in tutta la sua interezza, ma manca qualcosa. La title-track ricorda un Peter Murphy dei tempi d’oro, ma già dalla bella Funeral Party risalta la somiglianza con gli Spiritual Front, cosa che ritorna in tutto il resto di The King of Nothing. Si sente il tocco personale di Riccardo Sabetti, ma questo tocco andava osato leggermente di più, visto che in esso si riconoscono impronte di un panorama sonoro decisamente più interessante rispetto a quanto espresso. Agony è un esempio di come sia bello scrivere musica utilizzando un bacino di esperienza sicuramente più profondo che in altre tracce, riuscendo quasi a distogliere l’attenzione dalla somiglianza con Protect Me From What I Want dei Placebo nel ritornello, ma così so di andare a cercare il pelo nell’uovo.

Tanta sperimentazione, tante influenze che vanno dal genere di nicchia, il goth/folk, al pop passando per blues e rock: ciò che si trova in questo lavoro è tanta ciccia (per usare un termine del cazzo – uno me lo concedo), ma poco distacco dal seminato. È un disco di esordio solista, l’esperienza c’è, le trovate geniali anche, manca solo un pizzico di audacia in più per costruire un panorama sonoro del tutto nuovo.

Richard Von Sabeth – The King of Nothing
(Rehab Records, 2018)

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