HEROINE #2

Heroine 2018 – Artwork di Nael Manuela Simonetti ©
Heroine 2018 – (Artwork di Nael Manuela Simonetti)

HEROINE – Rubrica di Musica e Arte al Femminile a cura di Nael Manuela Simonetti

 

Playlist di fine anno
Il giro del mondo in 365 giorni nell’underground musicale femminile

RUBRICA – Si dice che tutte le strade portino a Roma, ma noi di Heroine da qui spesso partiamo verso nuove e altrettanto affascinanti destinazioni, con uno sguardo e soprattutto un orecchio rivolto a realtà musicali underground rigorosamente al femminile. È in questo periodo, in cui l’anno sta per volgere al termine, che è tempo di fare bilanci e tirar fuori dal cilindro quelle che per noi sono state le migliori pubblicazioni del 2018.

Per farlo ci imbarchiamo sul primo volo, direzione Inghilterra.
Giunti a destinazione ad accoglierci c’è lei, l’affascinante Anna Calvi e il suo ultimo lavoro in studio dal titolo Hunter (Domino, 2018), una perla preziosa che conferma ancora una volta il talento di questa straordinaria artista. Dieci tracce che esplorano la sessualità guardando, come dice Anna, “oltre ciò che ci si aspetta da una donna nella società patriarcale e eteronormativa in cui viviamo”. Il suo desiderio di libertà sessuale emerge chiaro e abbraccia il femminile e il maschile, la sua è sete di esperienza, d’intimità, è ricerca del bello nel caos. La felicità è un atto di ribellione, è la libertà di poter scegliere ciò che ci piace e ci fa star bene senza dover sottostare alle restrizioni imposte dalla società, cosa che la Calvi sottolinea a gran voce in Don’t Beat The Girl Out Of My Boy: da brivido!

Con questa consapevolezza proseguiamo il nostro viaggio, direzione U.S.A.
Ad attenderci c’è la meravigliosa Kristin Hersh, leader della storica band Throwing Muses, nata a Newport nel 1981 e cantautrice solista dal 1994. Ci accoglie con il suo splendido Possible Dust Clouds (Fire Records 2018), undicesimo album della sua carriera solista, un lavoro che rapisce fin dal primo ascolto. La voce ammaliante della Hersh è sostenuta da una sessione ritmica pazzesca su cui lei volteggia con la sua chitarra, creando intrecci dalle forme più straordinarie. Magnetico come piace a noi, con richiami ad un passato che risuona e riscalda anche i cuori più nostalgici, senza però cadere vittima delle insidie di ciò che è già stato. Si tratta di un’opera eccellente dove la sua forte personalità emerge in tutto il suo splendore!

È giunto il momento di spostarci da Atlanta e raggiungere Los Angeles.
Arriviamo in città che sta albeggiando e lì incontriamo Emma Ruth Rundle che ci introduce al suo ultimo On Dark Horses (Sargent House 2018), quinto album della sua carriera solista, iniziata dieci anni fa – ricordiamo che la Rundle fa parte anche dei Red Sparowes e dei Marriages. Ci immergiamo in questo suo ultimo capolavoro solista in cui sono mescolati, con eleganza, anima post-rock e un cantautorato dalle tinte dark e psichedeliche. Un chiaroscuro malinconico che arriva in profondità con tematiche che fanno riferimento ad un vissuto personale tale da amplificare il cantato pieno di trasporto emotivo, sostenuto da ambientazioni sonore che si muovono in un crescendo strumentale. Degna di nota è Light Song, con il suo noir folk struggente, dove dall’oscurità emerge anche una altrettanto affascinante voce maschile.

Sempre rimanendo negli U.S.A. raggiungiamo la nostra terza tappa, spostandoci nuovamente sulla East Coast.
Ad ospitarci c’è il duo Beach House, in quel di Baltimora. Victoria Legrand e Alex Scally ci ricevono a braccia aperte con il loro 7 (Sub Pop/Bella Union, 2018) per poi trasportarci in altri luoghi dove il tempo è sospeso come in un sogno, ma lucido. Ci ritroviamo a fluttuare ad occhi aperti su trame sonore tessute ad arte tra dream pop e shoegaze, dove la splendida voce della Legrand spicca in tutta la sua bellezza e in perfetto equilibrio si muove su intense linee sintetiche, chitarre laceranti e una batteria che aggiunge quel valore in più che arricchisce il tutto. Da ascoltare!

Torniamo sulla Terra… perché l’Australia ci aspetta (e come al solito, sei in ritardo! – n.d.r.).
Arrivati a Melbourne Courtney Barnett canta per noi una strofa di Hopefulessness, brano d’apertura di Tell Me How You Really Feel (Milk! 2018): “You know what they say? No one’s born to hate. We learn it somewhere along the way” (Sai cosa dicono? Nessuno è nato per odiare. Lo impariamo da qualche parte lungo la strada); già…! Una perfetta introduzione al suo secondo lavoro in studio (terzo se si conta anche Lotta Sea Lice in collaborazione con Kurt Vile), dove non manca l’ironia ma anche una velata tristezza. Senza preoccuparsi troppo delle aspettative altrui, Courtney tira fuori se stessa come più le piace, con genuinità ed un’eleganza narrativa degna di una talentuosa cantastorie. Le parole e le chitarre si rincorrono, in equilibrio tra testi intimi e spensierati, dove c’è spazio anche per una rabbiosa I’m Not Your Mother, I’m Not Your Bitch, un inno di emancipazione graffiante come la sua chitarra.

È tempo di rientrare a Roma: pienamente soddisfatti concludiamo con il frutto di questo viaggio, un regalo per voi, una playlist selezionata con cura, con brani estratti dai cinque album delle nostre “Heroine 2018”, un ottimo ascolto in attesa del nuovo anno!

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