Elettronica

Jon Hopkins

Jon Hopkins – (Foto di Nael Manuela Simonetti)

 

Il fluido sonoro scorre e sta solo a te decidere se nuotare o meno in acque agitate

25, 26, 27 maggio 2017 – Maxxi / Guido Reni District

LIVE REPORT – Location d’eccezione per un festival che sa stupire. Ha il suo fascino entrare in un museo, precisamente il Museo nazionale delle arti del XXI secolo e trovarsi immersi in un fiume sonoro energetico e ipnotico. L’importante è tener fuori i pregiudizi e una volta entrati iniziare a nuotare per esplorare lo spazio circostante. E allora ti accorgi che lo spettacolo non lo fanno solo gli artisti sul palco ma anche coloro i quali sono lì come te a vivere quell’esperienza.

Ho detto di lasciare fuori i pregiudizi, non le considerazioni personali, che a festival concluso sono utili a tirare le somme a 360°. Ad esempio, perché c’è chi viene ad un festival e decide di stare perlopiù fuori a fumare perdendosi il meglio? La musica come viene vissuta in realtà da questo tipo di pubblico? Esiste davvero un ‘tipo di pubblico’? Davvero basta dire di esserci stati, farsi un selfie a testimonianza della cosa e far credere ad altri di aver realmente vissuto quell’esperienza quando la realtà è tutt’altra cosa? Venire in tiro per ostentare il proprio stato sociale lanciando un messaggio utile solo a sé; un incontro ravvicinato con alieni alienati. In una società che rende sempre più soli niente dovrebbe stupirci, ma il vedere il vuoto fa comunque un certo effetto.

Ma il festival non è stato solo questo, per carità, di persone interessate e curiose ce n’erano e questo fa ben sperare, diciamo che la norma dovrebbe essere il vivere a pieno l’esperienza musica dal vivo, non l’eccezione. Tra l’altro stiamo parlando di un festival romano che in questi anni ha puntato molto sulla ricchezza artistica e chi ha un occhio attento e un orecchio fino sa ben cogliere l’essenza. Anche quest’anno il calendario era molto invitante soprattutto per chi ama emozioni forti. Un viaggio in lungo e largo con tappe in tutto il mondo o quasi. Sui due palchi, prima al Maxxi e poi al Guido Reni District, si sono infatti esibiti artisti provenienti da diverse parti del mondo e ognuno con una ben delineata personalità.

Nota dolente è stata l’acustica che, purtroppo, in alcuni casi ha abbassato l’alto livello di qualità artistica musicale, menomando le performance live, specialmente nella seconda location, insomma un particolare non da poco. Confidiamo nella prossima edizione, si può sempre migliorare.

(CONTINUA DOPO LA GALLERY)

 

 

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Pillole di Primavera (La punta di un iceberg)

Suggestiva è stata la performance di Jenny Hval, a tratti oscura e penetrante. Una figura spesso sfuggente. Osservavo con interesse i suoi movimenti sul palco, la sua gestualità e non potevo che esserne affascinata, stava comunicando non solo con la voce ma con tutto il corpo.

In modo diverso ma altrettanto efficace è stato il modo di comunicare di Max Cooper, un artista straordinario che ti prende per mano e ti porta con sé in profondità, un racconto sonoro arricchito dai visual alle sue spalle che rendono l’esperienza decisamente unica e totale.

L’inquietudine arriva e ti prende fin dalle prime note dei Radian, un trio che dal vivo è in grado di farti rimanere sospeso per poi scaraventarti a terra in un attimo, così senza preavviso, un viaggio fatto di estremi e dove il rock si fonde con l’elettronica.

Che fai, non te lo vivi lo tsunami di nome SUUNS? Certo che te lo vivi! Il loro nome troneggiava con orgoglio alle loro spalle, come in ogni live. Ho sentito ogni singolo beat attraversare il mio corpo, una performance chiaramente di impatto, immaginate di salire per la prima volta sulle montagne russe e una volta scesi voler salire di nuovo.

Ecco colui che ha cambiato il concetto di musica elettronica, o meglio colui che gli ha dato una veste nuova negli ultimi dieci anni, sicuramente uno dei nomi di punta di questa ottava edizione, creatore di immagini sonore di una bellezza tale da emozionare fin dal primo ascolto, un viaggio onirico in cui perdersi, con la consapevolezza che chi ti accompagna non è uno qualunque: a guidarti c’è Jon Hopkins.

Anche Powell è uno che ti prende e ti porta nel suo mondo e inizia a giocare con te, è folle e geniale, stabilisce un contatto col pubblico fin dalle prime note, e la cosa più bella è che si diverte e lo percepisci dalla sua presenza scenica, dal modo in cui si muove dietro la consolle, dalla mimica facciale, dalla sua gestualità senza mezzi termini, dal vivo la sua musica è potente e devastante.

‘I Don’t Want To Get Down’, così ci dice Wrongonyou, ed è proprio quello che vorresti dire anche tu arrivato alla terza serata, quella conclusiva del festival, infatti di scendere non se ne parla proprio. Sono sottopalco e di fronte a me c’è un gigante con la sua chitarra, con tatuaggi sulle braccia che catturano la mia attenzione di fotografa, è un giovane artista romano, all’anagrafe Marco Cinelli, in arte Wrongonyou. Confermo ciò che ho pensato fin dal primo momento, ovvero che il ragazzo ha talento. Voce calda e perfettamente in linea col suo folk dal sapore contemporaneo e fresco, nonché potente e morbido allo stesso tempo.

Il jazz sperimentale degli Elephantides è un botta e risposta tra strumentazione acustica ed elettronica, sia Daniele Sciolla che Sergio Tentella dimostrano con abilità il loro desiderio di non fermarsi e continuare a sperimentare con qualsiasi strumento, non necessariamente convenzionale.
Ora, se cercate sul vocabolario la parola tripùdio, come prima definizione trovate “Danza sacerdotale ritmica, che, nell’antica Roma, veniva forse eseguita battendo tre volte il piede in terra.”, e tripudio fu!

Con la performance di Yussef Kamaal si è raggiunto il Nirvana, ti rendi conto che è inutile trattenere il respiro poiché trattenere il respiro significa perderlo e allora non resta che lasciarlo andare, e lasciarsi andare al ritmo dell’energia sprigionata dal trio Yussef Dayes, Charlie Stacey e Mansur Brown. Black Focus è l’album che hanno portato dal vivo e modello di ispirazione che trae linfa vitale dal jazz-funk degli anni ’70. È la batteria di Yussef Dayes il fulcro attorno al quale gira tutto, una ritmica incalzante che dal vivo assume forme di una bellezza rara e di altri tempi.

Nonostante l’ora difficilmente riesci ad arrestare l’onda che si è alzata e per mettere altra benzina sul fuoco giustamente fai salire Clap! Clap!. Anche stavolta ha con sè musicisti a sostenerlo, due batteristi pazzeschi in grado di rendere l’atmosfera ancora più suggestiva. Si conclude in bellezza la mia tre giorni di festival con un sempre scatenatissimo Cristiano Crisci in arte Clap! Clap! che per l’occasione ha portato dal vivo il suo ultimo lavoro, “A Thousand Skies” e lo ha fatto nel suo stile pieno di Joie de vivre. (Nael Manuela Simonetti)

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