LESTER PIÙ #8

LESTER PIÙ – I Sensi si mischiano e si confondono, si assegnano ruoli inediti e subentri. L’udito che non ha mai visto, ci vede di più. Che si tratti di Letteratura, Cinema o Arti Figurative, abbiamo una patologia, che ci costringe nell’essere Umani curiosamente completi, che si muovono in ampi spazi culturali. Solo che, ogni volta che fronteggiamo un’opera d’arte, abbiamo una colonna sonora ad hoc che parte. Autonoma. Soprattutto a Roma. Tranquilli: contiamo anche di segnalarvi gli eventi che provocano grandi acuti della nostra disfunzione. Per sentirsi meno soli. Rubrica a cura di Marco Pacella e Angelo D’Elia

 

Musica, immagini, performance, pittura
Al MACRO un’ampia ricostruzione della ricerca estrema di ORLAN

Per chi mastica un po’ di arte contemporanea il nome di ORLAN (scritto proprio così, tutto maiuscolo) è da anni sinonimo di una delle più estreme e dirette ricerche sul corpo, e quando scriviamo “sul”, la preposizione è da prendere proprio in senso letterale, perché l’artista francese – classe 1947 – ha scelto proprio la sua carnalità esibita come materia viva su cui segnare le tappe di una spasmodica quanto tragicamente vana ricerca di apparenza. All’autrice è dedicata a Roma la mostra VideORLAN – Technobody, curata da Alessandra Mammì e ospitata al MACRO di via Nizza fino al prossimo 3 dicembre.

Dicevamo dell’estremismo esibito: per intenderci, ORLAN ha fatto di se stessa l’oggetto di operazioni chirurgiche delicate e complesse attraverso cui è intervenuta sul suo aspetto fisico, rimodellandolo sulla bellezza rinascimentale e tutta artistica della Venere di Botticelli o di altri esempi di grazia e perfezione estetica tradizionale e giungendo fino a farsi impiantare protesi frontali che richiamano il celebre Mosé di Michelangelo.

E per veicolare queste operazioni, iniziate dalla fine degli anni ’80, ha scelto un amalgama di media diversi, video, fotografie, collage, musiche e finti teatrini tridimensionali. Nei video delle operazioni (ne è un esempio in mostra Successfull Operation del 1991) allestisce veri e propri set dall’impianto sospeso fra sacralità rituale e banchetto dionisiaco, in cui persino i chirurghi partecipano al gioco dei ruoli indossando metallici abiti di scena. Sono immagini a tratti forti, certo, ma anche esplicitamente ironiche: se tutto fa spettacolo – sembra dire ORLAN – se tutto è ammantato di un sottile velo di futile apparenza, anche il corpo partecipa a questa corsa cieca e inesorabile verso la “perfezione” apparente. Ma non più un corpo “rappresentato”, freddo e distante: è “la nuova schiavitù ai dettami della seduzione” (Vettese) a essere messa in questione e, nel suo mostrarsi, a essere crudelmente ribaltata.

La mostra romana, selezionandone i lavori più rappresentativi degli ultimi decenni (dai “MésuRAGE” ai pannelli di foto e oggetti degli anni ’70, dal video Mise en scène pour un grand Fiat del 1984 al già citato Successfull Operation) restituisce una panoramica convincente della ricerca di ORLAN, in cui sono messe in luce e in sequenza le diverse possibilità di utilizzo del corpo.
L’altro aspetto interessante dell’esposizione è che, accanto alla pur necessaria retrospettiva (l’ultima a Roma dedicata all’autrice risaliva a vent’anni fa), trovano spazio alcune delle direttrici su cui si muove la sua più recente produzione multimediale: Self-hybridations (2016), in cui pannelli fotografici ispirati alle maschere dell’Opera di Pechino, scansionati con un’app sullo smartphone del visitatore, consentono di ricreare sul proprio schermo personaggi in realtà aumentata; o, nell’ultima sala, Experimental mise en jeu (2015) in cui lo stesso visitatore è invitato a partecipare a un videogioco per aiutare la protagonista a ricostruire monumenti e oggetti del mondo.

VideORLAN, dunque, mostra un duplice pregio: stabilisce i punti fermi della quasi cinquantennale ricerca dell’artista francese, ma riesce a evidenziare nel contempo i diversi e inaspettati binari su cui ORLAN indirizza la sua produzione più recente. (Marco Pacella)

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