WOODY GARDEN #7

WOODY GARDEN – Rubrica d’Arte e Fumetti a cura di Marco Pacella

 

“Blues”: i fumetti di Sergio Toppi cantano la musica del diavolo

 

“Honeylips suona, note basse e morbide come dita gentili che vadano sfogliando pagine di una storia ormai finita, note che parlano di nostalgia e di abbandono […]”.
È un musicista, Honeylips, un bluesman afroamericano che col suo sassofono riesce a evocare amori perduti, dialogare con gli oggetti e con gli animali, persino salvare vite, distogliendo e distraendo orrendi malviventi.
Honeylips, labbra di miele, ha un’energia incontenibile che lo spinge a prendere vita, emergendo in forma magica da una vecchia fotografia sbiadita, inchiodata alle assi scricchiolanti di una casa abbandonata: è lui il protagonista di Blues, storia breve a fumetti scritta e disegnata da un maestro della nona arte, Sergio Toppi (1932-2012), nel 1990. La storia, insieme a L’erede (2007), è stata ristampata in un bel volume cartonato da Nicola Pesce Editore, intitolato proprio Blues, un volume dalle pagine grandi che rende giustizia – fra le varie ristampe nel corso degli anni – al segno inconfondibile di Toppi.

Un segno graffiato e un’attenzione maniacale alla composizione delle tavole, una cura da illustratore oltre che narratore a fumetti, in cui salta ogni linearità compositiva delle strisce e delle vignette del fumetto popolare tradizionale. Infatti, pur nella brevità delle due storie, Sergio Toppi riesce a guidare il lettore nei paesaggi apparentemente silenziosi di un’America spazzata dal vento, quello stesso vento che piega l’erba dei campi, filtra fra le porte, fa cigolare il metallo arrugginito di vecchi cartelli o montagne di carcasse d’auto. Il silenzio è solo apparente, si diceva. Perché oltre alle note del sax di Honeylips, le due storie si popolano di voci inaspettate: gli animali, persino gli oggetti, parlano attraverso i balloon, intervengono in scena, commentano ciò che sta avvenendo. La solitudine di una provincia desolata si rianima così grazie ai suoi piccoli abitanti. In questo, le pagine di Toppi si potrebbero contrapporre ad altri cantori in immagini dell’America periferica, ben lontana dalle metropoli moderne: penso alle stanze vuote di Edward Hopper, alla solitudine delle sue creature, o alle pompe di benzina dello stesso Hopper o di Ed Ruscha, qualche anno dopo.

Quello di Toppi, come ha scritto Igort nella prefazione al volume, è un “universo dolente”, e allora non può che lievitare a contatto con le note del blues. La “musica del diavolo” è infatti il filo conduttore di questo volume omonimo. Dà forma e sostanza alle storie e alle chine, salva vite, dona libertà, riesce perfino a rievocare il Barone Samedi, in una storia che pesca a piene mani dalla magia, le leggende e i demoni del vudù.
Insomma, Blues è un esempio lampante della potenza espressiva di Sergio Toppi, maestro indimenticato per chi si è avvicinato da tempo alle sue storie, che meriterebbe di essere conosciuto e approfondito anche al di fuori della cerchia degli appassionati.

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