Recensione
Bud Spencer Blues Explosion – (foto di Ilaria Magliocchetti Lombi)
“E ora, qualcosa di completamente diverso!”
Ascolta il disco Vivi Muori Blues Ripeti
(La Tempesta, 2018)
RECENSIONE – “E ora, qualcosa di completamente diverso!”, cosi dicevano i Monty Python nel lontano 1971, in uno dei loro capolavori di folle genialità, e sembra anche essere lo spirito giusto con cui accogliere questo nuovo lavoro dei Bud Spencer Blues Explosion – fresco d’uscita per La Tempesta – a quattro anni dall’ottimo BSB3.
In questi quattro anni, ovviamente, il dinamico duo Viterbini/Petulicchio non è certo rimasto fermo a guardarsi intorno, accumulando esperienze e collaborazioni, ampliando il bagaglio di sonorità e possibili contaminazioni da cui attingere. Con il suo Film O Sound, Viterbini aveva già fatto un passo deciso in questa direzione, ponendo le basi per un sound chitarristico sempre più riconoscibile e sperimentale, sfruttando appieno le possibilità dello studio di registrazione. Ora, i due compagni di viaggio, si sono finalmente ritrovati, e questo Vivi Muori Blues Ripeti ha tutta l’aria di un nuovo punto d’inizio, da cui riprendere il cammino.
Questo disco, tenendo conto del percorso dei BSBE, è frutto di un paradosso: è il loro lavoro più ‘orecchiabile’, ma allo stesso tempo, è quello che richiede più ascolti per essere assimilato a dovere. Là dove i dischi precedenti erano saturi, con un sound pieno e impetuoso, qui, in alcuni casi, sono i ‘vuoti’ a saltare all’orecchio, quindi una maggiore ricerca del groove, piuttosto che del numero chitarristico (un pezzo come La donna è blu ne è l’esempio lampante). Ma, attenzione, non è che le chitarre siano state accantonate – in pezzi come Enduro vi è ampio spazio per dar sfogo a tutto l’estro a cui Viterbini ci ha abituato e forse non a caso è l’unico di cui firma anche il testo – è solo che il suono, in generale, appare più studiato e controllato, quasi perennemente filtrato dal fuzz, cosa che può anche infastidire ad un primo ascolto, ma che contribuisce, alla lunga, a dare all’intero lavoro un’atmosfera omogenea, a tratti piacevolmente afosa. Fa ritornare alla mente Endkadenz, l’ultimo, monumentale, lavoro dei Verdena, e non a caso dietro al mixer si avverte la presenza di Marco Fasolo (Gennifer Gentle).
Mossa intelligente (e non furba), quella di dare maggiore rilievo ai testi. In un periodo in cui certo cantautorato indie va assolutamente per la maggiore nella scena italiana, i BSBE vanno incontro a questa tendenza, ma con classe e senza tradire la propria ragion d’essere, affidando le liriche a due vecchie volpi come Davide Toffolo (Tre Allegri Ragazzi Morti) e Umberto Maria Giardini (ex Moltheni) e, quindi, mantenendo quello stretto legame con il rock anni ’90 che li ha da sempre caratterizzati, tanto quanto il blues che campeggia nella sigla e che è sempre e comunque presente, anche se in questo caso più come attitudine che per sonorità.
Da menzionare, infine, due pezzi che da soli giustificano l’acquisto dell’intero lotto: una Presto Sarò Chi Sono in cui Viterbini si lascia stregare dalle sonorità del Mali (ved. suo precedente lavoro solista e/o collaborazione con Bombino), e Calipso, vero colpo di coda, un pezzo dalla melodia spiccatamente pop riletto in salsa Queens of the Stone Age (leggi Make It With Chu), con un finale per chitarre, tastiere e cori dissonanti che aprono le porte alla psichedelia.
Un disco di svolta quindi, che tenta di aprirsi anche ad una fetta di pubblico più ampia, ma lo fa con audacia, senza snaturare quanto fatto fin ora, ma filtrandolo attraverso una nuova ottica. È per questo che ci sentiamo di promuovere questo lavoro e anche i fans della prima ora dovrebbero farlo, riconoscendo e premiando il coraggio di questi due grandi musicisti che non si adagiano sugli allori e sperimentano qualcosa di nuovo. (Angelo D’Elia)