BLUES

Andrea De Luca Blues Trail

Somewhere in Clarksdale

 

di Andrea De Luca

Foto di Andrea De Luca e Andrea Merli

L’International Blues Challenge era ormai alle mie spalle, un’esperienza che mi ha colpito molto, dando una reale spinta alla mia vita di musicista blues. Ho proseguito questo viaggio fatto di passione per il Blues e appuntamenti di lavoro con uno dei musicisti che mi ha accompagnato nella competizione, il batterista romano Andrea Merli, un vero fratello per me e che ringrazio profondamente per aver svolto un ottimo lavoro di videomaker a supporto completo del mio progetto. Praticamente tutto il materiale che ho accumulato lo devo a lui.

Con le strade libere dalla neve ma con un clima ancora rigido e tanto ghiaccio, ha inizio una discesa che non dimenticherò mai: quella verso il Sud degli Stati Uniti.
La prima tappa è stata Clarksdale nello stato del Mississippi, dove all’inizio del secolo molti artisti e pionieri della musica blues svilupparono il proprio stile, facendo di Clarksdale una delle realtà che più di tutte ha esportato questo linguaggio verso Chicago e St. Louis durante gli anni della grande migrazione. Circa un paio d’ore di viaggio percorrendo la I-55, andando praticamente sempre dritti senza alcuna svolta, osservando un paesaggio completamente pianeggiante, con pochi insediamenti, per miglia e miglia cosparso di cartelli pubblicitari del Juke Joint Blues Festival ai lati della larga interstate.
È stato bellissimo arrivare in città e rendersi subito conto di quanto la musica fosse importante per questa piccola realtà di appena 20.000 abitanti. Le strade del piccolo centro erano piene di manifesti e cartelli dedicati alle personalità artistiche che sono nate lì o che hanno dato un contributo alla tradizione blues negli ultimi 100 anni.

Non ci restava altro che andare subito in centro: direzione Bluesberry Café, uno degli storici locali che ospita, ormai da vent’anni, i concerti del Juke Joint Festival che si terrà come sempre ad aprile. Entrati nel locale, un piccolo posto di una quarantina di metri quadri con un palchetto sulla destra e una manciata di tavoli sulla sinistra, con il bancone e tutto il resto, rimaniamo subito estasiati dall’energia pazzesca di questo iconico ritrovo di bluesman ed appassionati, meta di persone provenienti da tutto il mondo. Un duo, chitarra, voce e percussioni suona sul palco, il nome del progetto è Cash’s Juke Joint, sound inconfondibile del sud e grande trasporto da parte di un pubblico attivo ed attento.
Veniamo riconosciuti dal proprietario del locale e da Arthur, il direttore artistico, amico fraterno della Mojo Station Blues Society che gli aveva preannunciato la nostra visita. Ci riservano un caloroso benvenuto con la pronta richiesta di salire sul palco non appena la jam session fosse cominciata. L’aria di famiglia è evidente, mi avevano già accolto come se fossi uno di loro, che poi, pensandoci bene, a prescindere dalla geografia, è proprio così.

Nel locale vedo questo signore sulla settantina, con lunghi capelli grigi raccolti sotto un cappellino con visiera e lo riconosco subito: è Watermelon Slim, un grandissimo bluesman, incredibile suonatore di chitarra Lap Steel, trasferitosi a Clarksdale una quindicina di anni fa. Mi saluta e inizia a parlare in italiano dandomi il benvenuto in città, la città del Blues: davvero troppo affettuoso.
La sua storia è allucinante e non posso non condividerla con voi. William, questo il suo nome di battesimo, iniziò a suonare la chitarra quando, rendendo servizio in Vietnam, contrasse una malattia che lo costrinse a passare alcuni mesi in ospedale. Con uno strumento vietnamita che gli avevano prestato, simile a una chitarra, studiò con una tecnica rurale del tutto simile a quella con cui si suona la Lap Steel guitar, utilizzando il suo accendino Zippo come tone-bar ed accordature aperte. Ci credete? Mi ha raccontato personalmente questo episodio e, successivamente, cercando sul web, mi sono imbattuto nella stessa informazione che era stata riportata in maniera sbagliata, affermando che usasse l’accendino metallico come plettro e non come slide, concetto del tutto diverso. Quindi ho scritto a Wikipedia per cambiarla ed ora è corretta. Un mio piccolo contributo al preservare la tradizione del Mississippi!
Tornando alla sua vita, rientrato in America dopo il congedo, continuò a suonare blues e iniziò inoltre una carriera discografica non indifferente, registrando una decina di dischi e collezionando un numero davvero notevole di premi e di “quotes” firmate da artisti fenomenali come John Lee Hooker, Bonnie Raitt, Robert Cray, Country Joe, i Canned Heat e molti altri.

Mentre parlavamo, mi sento chiamare dal palco: “We are honored to have this blues guy from Italy”. Toccava a me! Ho suonato un bel po’, prima supportando il grande Lucious Spiller, rappresentante locale di un blues dalla vena spirituale, introverso e misterioso, due volte finalista all’IBC, prima pagina di Blues Blast (celebre rivista americana) e grandissimo cantante. Poi ho suonato un paio di miei brani con Cash’s e il suo percussionista, letteralmente estasiato dal mio modo di suonare la Lap Steel e di cantare.
Sceso dal palco, vedo arrivare nuovamente Watermelon che si dirige verso il microfono e annuncia la sua voglia di condividere con noi un momento gospel per omaggiare tutti gli artisti blues presenti in sala. Inizia a cantare, il brano è stato di sola voce e l’atmosfera si è subito tinta di sud, campi di cotone e Delta del Mississippi.

Il giorno dopo, in giro per le strade di Clarksdale, stavamo cercando un posto dove prendere un buon caffè, quando ci siamo imbattuti in questo locale che faceva angolo proprio vicino al grandissimo murale di Robert Johnson. Sentiamo una band suonare all’interno, ci affacciamo e vediamo nuovamente Cash’s Juke Joint suonare, ci riconosce e direttamente dal palco mi chiama a gran voce! Subito dopo, la proprietaria del locale esce fuori per salutarmi e chiedermi di entrare per suonare, dato che mi aveva sentito a Memphis sul palco dell’International Blues Challenge e voleva assolutamente che io portassi un pizzico della mia musica anche nel suo bel pub.
Dopo aver jammato per una mezz’oretta, andiamo via salutando e scambiandoci bigliettini da visita, come è d’abitudine negli Stati Uniti, dove c’è una grandissima tradizione delle business card. Una volta usciti, giriamo l’angolo e un ragazzo ci stava aspettando con un doggy bag dentro una busta di plastica dicendo: “Ehi, questo è per te, può essere il vostro pranzo, ve lo siete meritato! Grazie per averci donato un po’ del tuo blues italiano. Questo è un piccolo segno di riconoscenza, enjoy!”. E questa, come la storia narra, è una di quelle cose che succede a Clarksdale, nel Mississippi.

Durante il pomeriggio, siamo andati a visitare il famosissimo CROSSROADS, l’incrocio tra l’interstate 49 e la 61 dove si narra che Robert Johnson fece il proverbiale patto con il diavolo barattando la sua anima con la tecnica chitarristica blues. Arrivati al suggestivo crocevia o “crocicchio” (so che qualcuno raccoglierà), ho pensato che poteva essere una bella idea prendere la mia Lap Steel e sedermi proprio lì a suonare e cantare un accenno di “Crossroads”, uno dei brani che ha fatto la storia del Blues, registrato nel 1937 dall’irraggiungibile Robert e che centinaia di bands ed artisti hanno reinterpretato nel corso degli anni.

Era già sera e ci aspettava la visita al Bed Apple Blues Club, che non è altro che un locale situato all’interno di un’abitazione in cui il buon Sam Apple, notevole bluesman locale, tiene i suoi spettacoli. Il posto era bellissimo e suggestivo, pieno di manifesti di blues festival e di fotografie dei bluesmen di Clarksdale. Il padrone di casa, protagonista di uno spettacolo davvero interessante, raccontava tantissime storie e leggende e suonava in stile One Man Band con una cassa di batteria, un rullante e una chitarra semi-acustica. Esprimeva un Blues arcaico che mi ha colpito e rapito sin dalle prime note.
Quando siamo entrati, ci siamo presentati pubblicamente e Sam mi ha subito chiesto di fare sentire un po’ del mio blues al pubblico. Quindi, dopo appena quindici minuti salgo sul palco e, suonato il primo pezzo, con grande entusiasmo del pubblico, Sam mi dice: “Dovresti suonare qui almeno un altro paio di ore perché sei bravissimo, mi piace tantissimo quello che fai. Non sapevo che ci fossero degli artisti così autentici anche per quanto riguarda il Blues che proviene dall’Italia”, e poi, ancora: “Hai mai suonato al Colosseo?”

Il giorno seguente siamo andati alla Jam Session organizzata al Ground Zero, il famoso locale di Morgan Freeman. Sì, avete capito bene, l’attore di Hollywood, che tra le sue passioni ha quella per il blues, anni fa ha deciso di investire proprio a Clarksdale rilevando questo grande locale.
Come di solito succede in una comunità di artisti molto affiatata, ad un certo punto sono iniziati ad arrivare tutti quanti i bluesmen che già avevamo incontrato al Bluesberry Café. Anche in questo caso il Blues Made in Italy ha fatto una bellissima figura: mi sono trovato nuovamente a suonare con Lucius Spiller che, questa volta, mi ha personalmente detto che la mia tecnica chitarristica e il mio blues venivano direttamente dal cuore e che, in questo caso, non ha importanza dove tu sia nato e cresciuto ma quanto il Blues sia diventato parte integrante della tua vita, una sorta di missione. È stato molto bello sentirselo dire da un personaggio così riservato e poco incline ai complimenti.

Il giorno dopo lasciamo a malincuore Clarksdale per immergerci ancora di più nel sud: tappa fondamentale è stata la visita alla tomba di Robert Johnson nella piccola chiesa Little Zion, a Greenwood, Mississippi. Sul retro della piccola struttura si trova la sua magica tomba. Anche in questo caso ho pensato di rendere omaggio al padre del Blues per eccellenza, accennando una mia versione di “Come On In My Kitchen” proprio accanto alla sua sepoltura. Potete capire dal video quale fosse la mia emozione, la voce spezzata come se non volessi disturbare, l’atmosfera pazzesca, la luce surreale, grandissimi alberi che facevano da tetto e tantissimi corvi che cantavano inesorabilmente. La mia testimonianza è tutta qui, in questo breve ma intenso video.

Durante lo stesso giorno abbiamo fatto una piccola deviazione andando a Indianola, sempre nello stato del Mississippi, che è la patria di un altro dei grandi della musica del diavolo: Il Re indiscusso, BB King, di cui abbiamo visitato il bellissimo museo sito in una struttura enorme e davvero ben concepita. Ho girato un po’ di materiale durante la visita, un vero e proprio viaggio multimediale a partire dalle piantagioni, da dove anche lui proveniva.

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