CANTAUTORATO


David Zulli (foto di Barbara Ledda)


Cronache da una collina a vetri


di SEO

RECENSIONE – Prima di ascoltare una sola nota del nuovo lavoro di David Zulli, 2Q20, ho realizzato che il nostro osserva il mondo da un punto privilegiato. Non spia, osserva. Non da una posizione, ma da un punto. Con una bella vetrata. Cercate un freddo mattutino, borchiato pungente, troverete un grillo parlante con pose da cabaret. Più o meno. L’aspetto stempera la seriosità percepita. A salvarlo, prima di tutto, è l’ironia, poi un fine artigianato.

È chiaro che Zulli parla a sé, ma è pur vero che risulta quel sé universale, che accomuna tutti. In più, la sua soglia interpretativa si ferma alla descrizione, per lo più, quindi la verità sta nella sospensione del giudizio, e questo lo rende mortale. Cosa che accomuna tutti. Un tale approccio e la semplicità delle situazioni permette la sovrapposizione di descrizione e riflessione: facile riconoscersi, purché si abbia un minimo di sensibilità umana.
Così, su andatura aggraziata, ondulante, il ‘cantautore polistrumentista milanese d’adozione romano’, offre un’opera pacata, dal ghigno teatrale e con giuste proporzioni di pop (al guinzaglio) e rock (con la museruola).

Esemplari: Lo specchio della città, rappresentativa del personaggio e dell’artista, della scrittura e delle sue intenzioni e modalità, con la sensibilità del tema e il suo approccio ironico: molto consigliata la visione del video (in fondo all’articolo); Quando scende la notte, con Francesco Forni, forse il pezzo migliore, si insinua lentamente, l’invito è ad allungare le gambe; infine, Mario, dal testo ‘ordinario’ ma dall’accompagnamento musicale incisivo, che dà tempo, respiro e profondità alle parole.
Ci siamo, la forza dell’opera è lì, nell’impalcatura musicale, già nel fatto stesso che ci sia ma soprattutto perché curata, di gusto. L’album è realizzato con la supervisione artistica e la co-produzione di Francesco Forni. Arrangiamenti pieni e diversificati, un’importante schiera di strumenti messi intelligentemente a disposizione degli umori di rime educate, immediate, vivificate dal guizzo opportuno.

È un lavoro unitario, con una coerenza di fondo. Il consiglio è di ascoltarlo seduti. Si può fare (!). Seduti. A porte chiuse. Può essere quiete rinfrancante. Magari avrebbe beneficiato di una varietà melodica maggiore, il piglio à la Branduardi, a lungo andare, può stancare. Nonostante ciò – o forse proprio per questo -, il flusso non subisce discontinuità: scorre agevolmente, per intero. Anzi, funziona meglio. Ed è possibile perdonare un ‘di troppo’ (Quando le navi partono dal porto) o qualche ingenuità (Ieri sera ho visto Paz).
Insomma, non passerà alla storia, ma… in una marea di perfetti sconosciuti, Zulli è uno di quelli riconoscibili.

David Zulli – “2Q20”
(The Beat Production Srl / CRYTMO Records – Believe Digital, 2020)

Ascolto obbligato: Quando scende la notte

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Con e senza tuba
Intervista a David Zulli

foto di Barbara Ledda

INTERVISTA – Nel disco non è mai ricercata la melodia sconvolgente, il ritornello di facile presa, né la rima d’effetto a tutti i costi. Gli arrangiamenti sono molto curati. È tutto molto misurato, equilibrato, anche nel rapporto fra testi e musiche. Istinto? Ponderazione?
Sì, è così. Quando scrivo e compongo, quasi sempre, quello che cerco (o trovo, pur senza cercarlo) sono soluzioni inaspettate, non convenzionali, non rispondenti a schemi prefissati o a un’ottica pre-confezionata. Per contenuti e per peregrinazioni melodiche e armoniche.
Istinto o ponderazione? Direi una bella commistione di entrambe le cose e aggiungerei anche la “reazione”. Istinto: ce l’ho!!! Perché questo modo di pensare, questa attitudine, da qualche parte arriva, non so bene da dove ma so che sta lì, più o meno da sempre. Per reazione: rispetto alle convenzioni e all’omologazione. E la ponderazione ce la mettiamo sicuramente dentro, trova di diritto il suo spazio.
Sono un essere certamente anche molto razionale. Per provare, credo, a dare un ordine a tutta quell’entropia… E un po’ di misura, perché l’eleganza è importante, non sempre e comunque, ma spesso e volentieri.

Da romano adottivo, qual è l’aspetto dell’ambiente musicale cittadino che cambieresti per primo?
Detto oggi, in piena pandemia e con tutte le limitazioni in atto, sembra un po’ anacronistico, ma direi l’orario di inizio dei concerti nei pub e locali. Mi piacerebbe si suonasse prima, già alle 19.00 o alle 20.00.

Il pubblico, di solito, giudica l’artista. Questa volta facciamo il contrario. Ti chiediamo due giudizi: uno sul ‘tuo’ pubblico, l’altro sul pubblico in generale.
Beh, il mio pubblico in parte si sta definendo con la mia identità artistica e il Covid non sta certo aiutando. Ad ogni modo, solo per il fatto di seguirmi, non può che essere… meraviglioso! Mentre del pubblico in generale che ti posso dire?! C’è un po’ di tutto. Mediamente trovo disabitudine all’ascolto attivo e consapevole che quindi è poco attento, poco competente, acritico o fintamente “critico” e superficiale. Ma forse è così un po’ per tutti gli ambiti in cui si fruisca di qualche cosa.
All’estero c’è maggiore attenzione e partecipazione ad eventi anche con artisti sconosciuti. Per la curiosità di scoprire cose nuove, per sostenere la musica, per attitudine, per cultura, per amore dell’arte e della bellezza. Ma in fondo è una generalizzazione. Il pubblico delle grandi città è differente da quello della provincia. E non ci sono più le mezze stagioni…

foto di Barbara Ledda


Una curiosità. Hai un passato da rocker. A cosa è dovuta la tua svolta verso lidi più… ehm, pacati?
Non è esattamente così. Le due cose hanno sempre convissuto. E l’hanno fatto pacificamente. Ho suonato e ascoltato contemporaneamente sia rock, hard-rock e heavy metal, che musica classica, folk, jazz, blues, prog, cantautorale. Roba sia morbida che molto rude e dura.
Più giovane, con le band davo sfogo alle valvole degli amplificatori, mentre da solo, a casa e con gli amici, suonavo e cantavo anche Simon and Garfunkel, De André, Branduardi… Solo che allora non scrivevo le mie cose (o meglio, non le proponevo) e non cantavo sui palchi. Ed è un fatto che la mia attitudine compositiva tenda un po’ più al morbido.
Ma chissà, magari le prossime mie produzioni saranno un più “incazzate”! O elettroniche. O disco-pop… ecco però, credo mai con l’autotune del cazzo.

Esiste un David Zulli senza tuba?
Ma certo che esiste! Quello che dorme, nel letto o sul divano. In doccia ad esempio, ci entro nudo. Non sempre, a pensarci bene: per un video del mio primo disco ci sono entrato vestito. Brutta sensazione, davvero. Ora però sto divagando… Comunque ecco, tornando a noi, in doccia niente tuba. E pure in occasione della presentazione del mio primo disco, La danza della nudità: ad un certo punto mi sono esibito completamente nudo. Anche in quel momento non indossavo la tuba.
Poi non è raro – anzi – che indossi la bombetta. E c’è il David Zulli domestico, in vestaglia e con i gatti addosso. Il massaio, il cuoco, il tennista, il ciclista, l’informatico: qui la tuba non c’è quasi mai…

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