FESTIVAL
Singing in the rain
di Angelo D’Elia
Si è fatta attendere, rimandare, agognare, ma finalmente questa bellissima due giorni di musica ha avuto modo di accadere. Stiamo parlando di quello che sarebbe dovuto essere il Primo Maggio di Castelli che, però, per ragioni di allerta metereologica, è stato fatto slittare (con il senno di poi decisione più che assennata) di un mese, in concomitanza del grande ponte per la Festa della Repubblica.
In realtà, l’attesa è stata ben più lunga. Già da prima dello stop pandemico, questa manifestazione era stata funestata dallo spettro della pioggia, come una nube imperterrita di fantozziana memoria, che se decide di colpire, è in grado di fare danni anche irreparabili ad un evento del genere. Perché il Primo Maggio (giugno) dei Castelli è ed è sempre stato in tutto e per tutto indipendente, dalla scelta della line up al finanziamento, che non gode di fondi regionali e che quindi si regge totalmente sulla gente che decide di popolare ed animare il Palabandinelli di Velletri. Possiamo affermare senza ombra di dubbio che questa lunga attesa è stata ampiamente ripagata e che in questi due giorni ci è stato concesso di entrare, dalla porta d’ingresso, all’interno di una comunità aperta, unita e gioiosa, che riesce a far fronte comune anche e soprattutto nei momenti di difficoltà (come si vedrà più avanti nel racconto).
Il primo giugno, si inizia con calma, nel tardo pomeriggio, giusto il tempo di dare gli ultimi ritocchi ad un palco allestito davvero con maestria e di dar modo alle nubi che s’intravedono all’orizzonte di prendere una direzione opposta a questa piccola isola felice: quest’oggi saremo graziati…
L’onore di aprire le danze viene affidato al giovanissimo Lorenzo Lepore, cantautore di belle speranze e dalla penna davvero affilata, che affidandosi unicamente alla sua chitarra, già padroneggia quell’enorme palco come un navigato performer. L’atmosfera inizia a scaldarsi e si susseguono le esibizioni di buon livello di Luz Vega, Anselmo, I’m Bob, Gestione della Rabbia e Il dOnO, fino ad arrivare a quelli che per noi sono stati la vera sorpresa: i Darnout! Power trio a base di batteria, chitarra e contrabbasso elettrico che consente soluzioni ritmiche e svisate davvero particolari, calate in un contesto di energico rock blues, una via riveduta, corretta ed alternativa ai Bud Spencer Blues Explosion. Folgoranti.
Emilio Stella, invece, è una riconferma, lo abbiamo già apprezzato in versione full band, ma anche in versione solitaria voce e chitarra: grazie alla sua verve e a pezzi estremamente efficaci anche se più “svestiti”, porta a casa un’esibizione estremamente coinvolgente. A chiudere in bellezza la prima serata, gli emissari dal futuro, i Daft Punk dell’hard blues: i The Cyborgs. Come una versione malata degli ZZ Top, investono la folla con il loro boogie ad altissimo voltaggio, facendola scatenare e dimenare come non era successo in tutta la serata, in uno scambio di energie che raggiunge l’apice quando i nostri letteralmente si ‘fanno suonare’ (ved. photo gallery).
La giornata del 2 giugno inizia sotto i migliori auspici, con un sole spaccapietre e noi che arriviamo accaldati e sudaticci al Palabandinelli giusto in tempo per l’esibizione di Daniele Coccia Paifelman (Muro del Canto), che sta portando in giro il suo progetto solista, caratterizzato dalle sonorità di un rock di frontiera, con alle chitarre uno scatenato Leonardo Angelucci (sempre in bilico tra momenti heandrixiani e svisate tex mex), con in chiusura una potente versione di Annarella dei CCCP perfettamente nelle corde della voce baritonale di Paifelman. A seguire, Simone Presciutti porta sul palco le atmosfere del Folk Studio (è lì che si è formato), con un cantautorato dal sapore senza tempo, che ricorda vagamente il Venditti prima maniera, arricchito però da piacevoli atmosfere bluesy. Ma qualcosa nel cielo sta cambiando, le nubi sono sempre più minacciose…
L’esibizione del povero Daniele De Gregori viene quasi del tutto ignorata, gli sguardi sono puntati verso l’alto, finché non succede l’inevitabile: non si può più far finta di niente, sta diluviando, bisogna sospendere le attività. Si trova riparo all’interno del palazzetto, gli sguardi sono cupi e sconsolati, si sta alzando il vento, la pioggia si intensifica: non riusciranno mai a riprendere! Quand’ecco che il senso di comunità a cui si faceva cenno poc’anzi, si fa sentire in tutta la sua potenza. Fuori, tra gli stand rimasti nella tempesta, si canta, si fa capannello, ci si stringe. Attirati dalla scena, sfidiamo le intemperie e ci uniamo a loro. Tra di loro, grosso e solido come una roccia, Andrea Caovini (organizzatore e vero motore del tutto) ci dice con sguardo fermo che nulla è perduto e che appena possibile si ricomincerà. Quasi contemporaneamente, come per magia, la pioggia inizia a scemare e nel giro di qualche minuto smette del tutto. Un esercito di persone armate di mocio e rotoloni asciuga-tutto batte il palco come il ponte di una nave (in uno sfoggio di professionalità e tenacia davvero encomiabile) ed ecco che si è di nuovo pronti a ripartire.
Agli Area 765 (ex Ratti della Sabina) il compito di ripristinare il buonumore, compito che assolvono con disinvoltura. Il blues sanguigno della Marco Bartoccioni Band riassesta definitivamente gli equilibri, mentre il Palabandinelli diventa sempre più affollato.
Arriva poi il momento che ha visto Lester direttamente coinvolto, ovvero il contest organizzato da Dopolavoro Ferroviario che ha visto avvicendarsi sul palco band ed esibizioni di buon livello, tra cui quelle di Margò, Paxarmata e Radio Chaplin, ma a rapire i nostri cuori sono stati I Tremendi. Chitarre sature, riff granitici, groove assassini ed un cantato rap che riecheggia old school ma che parla di disagi attualissimi. Il nostro premio è una video intervista ed un lauto approfondimento su queste pagine. Quindi, li rivedrete molto presto.
Per il momento successivo, invece, le parole sono quasi superflue perché, per comprenderne la portata emotiva, bisognava essere lì. L’esibizione dei Cafè Noir è stata “possibile” solo in virtù di un’assenza tanto enorme quanto lancinante. Da poco più di un anno Alessandro Casponi ha lasciato questa terra e non basterebbero cento di questi articoli per quantificare in termini artistici ed umani l’enorme contributo che ha lasciato in chiunque abbia avuto la fortuna di conoscerlo. Le persone che più gli volevano bene erano su quel palco che gli è sempre appartenuto, ad occhi chiusi, ad impartire una sonora lezione di Musica. Di musicisti così si è quasi perso lo stampo.
La conclusione è affidata a due veri orgogli velletrani. Emanuele Colandrea si esibisce di fronte ad una platea oramai gremita, che conosce ogni parola dei suoi versi, un momento ad alto grado d’intensità. Il gran finale, invece, è tutto per l’Orchestra del Paese Immobile, che riempie il palco e conduce la folla ormai scatenata in un ultimo fragoroso canto liberatorio.
Si potrebbe dire che questo è tutto, le parole sono state più del solito, ma comunque non bastano a descrivere i bei momenti passati in questi due giorni, tra persone belle, gentili ed accoglienti, che ci hanno davvero fatto sentire a casa e che da queste pagine ringraziamo con affetto. L’appello, come sempre, è per chi sta leggendo e non era presente: noi l’anno prossimo ci saremo di nuovo… voi?
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