FOLK ROCK

Il Muro del Canto (foto di Georgiana Acostandei)

 

Rivalsa, in direzione ostinata e contraria

 

di Federico Ciampi

Vorrei saper pregare, quando cresce l’ombra o mi sovrasta un male
Con le mani unite calmare il temporale, ma allargo le mie braccia e grido al Maestrale

Gli ultimi anni sono stati davvero stranianti, ce lo siamo detti mille volte, quasi come un mantra. Ma siamo ancora qua, vivi e pronti a ricominciare, con una discreta dose di nichilismo ed amarezza in più, forse per il tempo perduto, forse per quel sottofondo di malinconia con cui ormai ci siamo abituati a convivere. Usando queste sensazioni come fondale per il guazzabuglio di sfumature di cui è fatta l’esistenza, metto su il nuovo lavoro del Muro, cercando in quei solchi (“demodé parlare di solchi, nell’era del digitale”, direte voi; concedetemi un po’ di atmosfera poetica, dico io) una rivalsa. Che sia da me stesso, oppure dai tempi che corrono, non saprei dirlo, ma francamente, a chi importa?

Il Muro del Canto (foto di Georgiana Acostandei)

La poetica del combo romano si è fatta ancora più universale rispetto al predecessore “L’amore mio non more” e segna un’evoluzione stilistica e autoriale notevole, trattando ancora più nel profondo tematiche in cui ognuno di noi possa riconoscersi; ne è riprova anche il maggiore utilizzo dell’italiano, in continuità con il disco del 2018. Tutto questo, però, senza tralasciare le proprie origini, quella romanità verace e potente che ormai in dodici anni di carriera è un cardine per osservare Roma e il mondo con al contempo ironia e disillusione. Una perifrasi per dire “il solito Muro”, quindi? Sì, ma più in grande. Perché il mondo è cambiato, ma i problemi sono sempre gli stessi: la Roma maledetta ora è diventata un mondo maledetto, perché in fondo, “stamo tutti sulla stessa barca”.

Il lavoro si presenta compatto, con le sonorità folk rock che abbiamo imparato a conoscere e ad amare; non ci sono punti deboli, ma dei momenti che sono delle vere perle sì. Uno di questi è il singolo “Controvento”, in cui la voce di Daniele Coccia Paifelman invoca un invito a ribellarsi, ad essere sé stessi, liberi, veri e a guardare le stelle messe alla rinfusa nel cielo. Ecco quella rivalsa di cui parlavo poco fa, forse, va riletta proprio in questo senso, perché essere liberi vuol dire anche lottare contro tutte le ingiustizie, le prevaricazioni de ‘sto monno ‘nfame. E riconoscerlo non è un peccato, né vuol dire arrendersi ad esso, anche se fa paura. Significa conoscere l’ambiente in cui siamo stati gettati senza troppe spiegazioni, volenti o nolenti, apprezzarlo per le sue bellezze e battersi contro le sue storture.

Il Muro è qui a ricordarcelo, anche stavolta: è un buon motivo per continuare a fare il tifo per loro.

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