CANTAUTORATO
Luca Carocci (foto di Simone Cecchetti)
“Serenata per chi è nervoso” è il nuovo lavoro di Luca. Un dialogo innanzitutto con sé stessi e poi con chi ascolta…
di Ilaria Pantusa
Le distanze, che siano spaziali o temporali, non preoccupano Luca Carocci, o almeno così sembra: il suo ultimo disco, Serenata per chi è nervoso (FioriRari/Believe), esce cinque anni dopo Missili e somari. Tra i due lavori un lungo intermezzo di collaborazioni e altri progetti, come il format co-condotto insieme a Francesco Forni, Zelo in condotta, e la composizione delle musiche originali per il film Va Bene Così (2021) opera prima del regista Francesco Marioni.
Così come quando a ventuno anni è partito viaggiando per altri sedici in giro per il mondo, ritrovando sempre sé stesso in una chitarra, a non cambiare rispetto al precedente album è la presenza di tanti amici e amiche artisti che anche questa volta collaborano con lui e, a titolo di esempio, lo accompagnano alla voce, come Alessandro Pieravanti e Ilaria Graziano, o gli prestano mani, violino e archetto, come Andrea Ruggiero e Valentina Del Re.
Che lavoro è Serenata per chi è nervoso? È certamente un disco che si sente a suo agio in una certa tradizione cantautorale italiana e, nello specifico, romana. Perché? Suoni ricercati che si travestono di semplicità, cura per gli arrangiamenti, liriche introspettive e intimiste che mostrano una continua ricerca di un dialogo innanzitutto con sé stessi e poi con chi ascolta, che viene coinvolto soprattutto dall’interessante intessersi e interagire delle varie sonorità che fanno capolino di canzone in canzone.
Un lavoro di pregio è stato fatto sull’incontro tra tante e tanti musicisti, tutti così diversi e ricchi di peculiarità ben amalgamate nel lavoro di rifinitura di Carocci. Così il suo disco suona quasi collettivo, pur essendo stato autoprodotto. Da segnalare, in particolare, Aspetterò febbraio e L’insuccesso mi ha dato alla testa. In occasione dell’uscita del nuovo album del cantautore originario di Artena, Lester ha avuto modo di intervistarlo.
Partiamo dalla tua storia: per sedici anni hai girato il mondo, poi sei tornato in Italia. Quanto di quegli anni passati a viaggiare è parte della tua musica?
Viaggiare mi ha sicuramente aiutato a conoscere meglio me stesso: il confronto con culture e luoghi molto diversi dalla mia amata Artena ha inevitabilmente contribuito ad un viaggio interiore. Vivere dove nessuno ti conosce ti dà la possibilità di poter essere te stesso. La musica fa parte della mia vita da sempre, ho iniziato a suonare da molto piccolo, ho sempre sentito l’esigenza di giocare con la musica e viaggiare mi ha aiutato ad entrare in relazione con mondi molto diversi dal mio, mi ha aiutato ad apprezzare le differenze.
Nel disco compaiono Ilaria Graziano, Alessandro Pieravanti, Bob Angelini, Andrea Ruggiero, Emanuele Galoni, nomi di una parte della scena romana. Come si vive la musica a Roma?
Gli artisti sopracitati sono persone a me molto care, con le quali ho stretto negli anni rapporti di amicizia cementati dalla passione comune per la musica. Roma è un po’ una seconda casa per me, musicalmente ho ricevuto molto da tanti artisti romani, il fermento musicale che c’è qui in questo momento storico credo sia molto stimolante anche per chi fa musica da poco.
Serenata per chi è nervoso è un titolo affascinante, ha in sé il potenziale di rivolgersi un po’ a tutti e tutte. Chi immagini che possa riconoscersi nella tua musica?
Credo, in primis, che non sia facile imbattersi nella mia musica, non sono uno da classifica che trovi nella homepage di Spotify o nelle tendenze attuali che vengono passate in radio, quindi chi mi trova, in qualche modo, è uno che cerca!
Nei testi del tuo nuovo disco emerge essenzialmente la sfera intimista, cosa volevi raccontare?
Più che racconti in questo disco ci sono ragionamenti e domande che pongo a me stesso, che ho inevitabilmente avuto il bisogno di condividere con chi mi ascolta. Oltre al “fuori” c’è un “dentro” che va nutrito, ascoltato ed accettato. È sempre un bel viaggio quello che ci porta verso noi stessi, l’unico modo a mio avviso per comprendere meglio il tutto.
Come hai vissuto la pandemia, in quanto musicista e in quanto fruitore di musica?
La solitudine come condizione dettata da esigenze personali non mi spaventa. Durante la pandemia il pensiero è andato a chi ha fatto fatica a ricongiungersi con i propri affetti e a chi ha perso amici, familiari, amori… La musica, anche se in maniera diversa, non ha mai smesso di esistere, anche se quella dal vivo è un’esperienza insostituibile, sia per chi ascolta che per chi è sul palco.
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