CANTAUTORATO / POP


VANBASTEN ci racconta un percorso lungo dieci anni

di Ilaria Pantusa

Procrastinare significa rinviare da un giorno a un altro, dall’oggi al domani, allo scopo di guadagnare tempo o addirittura con l’intenzione di non fare quello che si dovrebbe.
Spesso si dice ironicamente che procrastinare è un’arte, ma nel caso di Carlo Alberto Moretti, meglio noto come VANBASTEN, diventa arte anche in modo letterale, nello specifico la quarta, quella della musica, se vogliamo seguire la suddivisione operata nel 1923 dal poeta italiano Ricciotto Canudo.

Il titolo del disco d’esordio di VANBASTEN, d’altronde, non potrebbe essere più chiaro di così: Canzoni che sarebbero dovute uscire tot anni fa raccoglie dieci tracce scritte nell’arco di dieci anni, cristallizzando così un percorso di crescita non solo personale e interiore, ma anche artistico.
È interessante, durante l’ascolto di questo album, percepire nell’ordine dei brani stessi il cambiamento di prospettive e punti di riferimento. Se da un punto di vista lirico la complessità viene compresa in un linguaggio immediato, quotidiano e d’effetto, da un punto di vista musicale a farla da padrone è quell’intreccio di rimandi e citazioni che fa del postmoderno in musica la vera costante degli ultimi tre decenni e che rende VANBASTEN figlio del suo e del nostro tempo.

Ad aprire le danze è Kenshiro, sorta di canzone-manifesto in cui il cantautore di Monte Sacro fa gli onori di casa, presentandosi senza censure, citando Ian Curtis nel testo e i suoi Joy Division nella melodia, per raccontare di sé e della propria epilessia (“Mi sentivo Ian Curtis solo un po’ più vivo”). Il post-punk torna anche più in là, in 16enne, quando tocca ai Cure essere citati (“i ragazzi non piangono mai”). Il revival degli anni ’80 più oscuri lascia spazio alla leggerezza delle sonorità affini all’indie italiano, come nel caso di Eurospin e Senna.
Siccome a noi di Lester piace andare in fondo a ciò di cui ci occupiamo, per saperne un po’ di più abbiamo dato la parola proprio a VANBASTEN.

Partiamo dal titolo del tuo album d’esordio: perché queste sono Canzoni che sarebbero dovute uscire tot anni fa?
Perché sono state scritte nell’arco degli ultimi dieci anni e perché mi serviva un titolo nel mio stile che giustificasse tutto questo procrastinare.

Alcune canzoni, come Mascara, risalgono a più di dieci anni fa. Ti riconosci ancora in canzoni così poco recenti?
Mi riconosco in ciò che ero, soprattutto stimo il me stesso di qualche anno fa, gli voglio bene. Guardando indietro mi ritrovo con tenerezza e stima, ho sempre fatto ciò che ho voluto con la musica e questo basta a farmici rispecchiare sempre.

In Senna ed Eurospin abbandoni le chitarre post-punk per virare verso una poetica e delle sonorità in linea con l’indie italiano più recente: un’evoluzione stilistica oppure un modo per strizzare l’occhio alle classifiche?
A me frega zero dell’indie e delle classifiche, sono entrambi mondi che categorizzano e io fuggo da quella roba. Quando penso ad una canzone non ho la presunzione di sapere come verrà su al 100%, la lascio libera. A volte esce il pop, altre il post punk, altre volte il cantautorato, ma quello a cui tengo è avere una coerenza di contenuti. Mi interessa il messaggio, non mi importa che il messaggio si faccia per forza carino ed educato per gli altri.

Dici che “è un disco semplice fatto da persone complesse”. Perché persone complesse hanno scelto la semplicità per esprimersi? È una scelta definitiva o estemporanea, legata al momento?
La musica arriva alle orecchie della gente in modo semplice, ma allo stesso tempo racchiude molte complessità. Chi fa musica ha spesso le stesse caratteristiche della materia che ama, ma per far sì che il messaggio sia chiaro a tutti deve cercare di farsi semplice, di farsi capire da più persone possibili. Questo è un oggetto fondante della mia idea di musica, di comunicazione in generale; farsi capire per cogliere le esigenze in modo spontaneo. 

Che programmi hai per il futuro? Sei speranzoso riguardo ad un ritorno dei concerti dal vivo e come te lo immagini il primo dopo lungo tempo?
Francamente non ci penso molto. Il mio rapporto con i live è di odio/amore, ma ora che posso dedicarmi a scrivere canzoni non mi interessa fare programmi che mi distraggano. Ci sono fior fior di prezzolati artisti che hanno opinioni illuminate in merito, io sinceramente spero solo di riuscire a finire una canzone entro stasera, che poi si fa tardi, mi viene la malinconia e butto tutto.

 

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