ROCK / DREAMPOP

Atmosfere senza tempo ed un grosso passo avanti con il nuovo disco “No Desire Control”

 

di Angelo D’Elia

Essere degli ascoltatori esperti, quando la musica la si suona e la si produce, può rivelarsi un’arma a doppio taglio. C’è sempre il grosso rischio di finire intrappolati nei propri riferimenti, che l’omaggio si tramuti in ammiccamento stucchevole e fine a se stesso, il tutto a discapito di una freschezza all’ascolto che deve essere necessariamente foraggiata anche da una buona dose di beata incoscienza (e non ignoranza, attenzione).

Si dice che il vero genio non copia ma ruba, e Lora & The Stalkers fanno di questo intramontabile assioma un mantra, imbastendo per No Desire Control, loro seconda uscita discografica, un vero e proprio zibaldone di influenze e stili, riuscendo nel non facile compito di non farlo pesare e di risultare comunque freschi ed assolutamente credibili. Perché qui non si tratta di un semplice lavoro di copia e incolla, ma di prendere elementi da svariate decadi musicali – e ci sono tutte, dai ’50 ai ’90 – per farli convivere armoniosamente in una stanza in cui anche l’ascoltatore odierno possa trovarsi a proprio agio, e per arrivare a ciò ci vogliono musicisti esperti ma incoscienti, e per nostra fortuna, Lora & The Stalkers appartengono a questa categoria.

L’ascoltatore più smaliziato (rieccola, quella bestia maledetta) si divertirà un mondo a cogliere i vari riferimenti, ne snoccioliamo un po’ a caso: ad esempio in Weak or Brave c’è una bellissima rilettura di Cat People di David Bowie, No Desire Control sembra uscita da Trompe le Monde dei Pixies, Blinding Love fa il verso ai Cure ed il glam rock di Unwise Jenny odora di T-Rex (il pezzo ha un gran tiro, ma forse in questo caso il richiamo a Get It On è fin troppo esplicito…). In più, la produzione della Blind Faith Records di Luca Sapio colora il tutto con quel tocco soul che non guasta, dando particolare enfasi alle chitarre di Alessandro Meozzi, mai così taglienti, e soprattutto alla splendida voce di Lora Ferrarotto, davvero unica nel suo genere, che riesce a passare con naturalezza dalla sfrontatezza della diva del northern soul, alla malinconia innocente di una bambina.

Ma, ripetiamo, tutta questa sfilza di nomi ed influenze convivono in maniera omogenea, il disco è vario ma tutto avvolto da questa atmosfera senza tempo, moderna ma anche retrò, un po’ come in Velluto Blu o Twin Peaks (sappiamo benissimo che il riferimento a David Lynch viene spesso abusato a sproposito, ma in questo caso, credetemi, è calzante). Sarà per questo che il disco si chiude con a bellissima Fire, languida ballad che potrebbe benissimo cantare Julee Cruise in un fine serata al Bang Bang Bar, davanti ad un pubblico di malinconici boscaioli e motociclisti.

Si può tranquillamente affermare che la fase di composizione di questo disco ha attraversato completamente quella che è stata una fase di transizione per il mondo intero. Potete raccontarci come l’avete vissuta e se, in qualche modo, vi ha influenzato?
Sì, sicuramente il fatto che le nostre vite si siano fermate di punto in bianco ci ha dato occasione sia di dare uno sguardo al passato e capire chi siamo, sia di pensare a cosa vorremmo essere in futuro. In questo modo è nato il tema generale dell’album: abbiamo capito che il nostro desiderio è vivere a pieno i nostri sentimenti, i nostri sogni. Da qui il titolo No Desire Control. In realtà, la canzone che dà il titolo all’album è nata in modo molto ironico per estremizzare il concetto che oggigiorno sono considerati estremi dei comportamenti alquanto banali, come mangiare i carboidrati!

Questa volta avete giocato fuori casa, passando dalle accoglienti e rodatissime mura del vostro Studio 66 alle sapienti mani di Luca Sapio e della sua Blind Faith Records. Come e perché è nata questa collaborazione, tenendo conto che Alessandro è già un abile produttore?
Luca fece il missaggio di un brano del nostro primo disco e così nacque l’idea di fare un album insieme. Abbiamo capito ben presto che lasciare il controllo della produzione e del missaggio nelle sue mani ci avrebbe portato in direzioni diverse in modo sorprendente e che avrebbe valorizzato le canzoni. Contaminare il nostro sound con quello di Luca ci ha stimolato perché il nostro intento è quello di evolvere e sperimentare nuove strade ad ogni album. In questo modo Alessandro in studio si è potuto concentrare sugli arrangiamenti e l’esecuzione.

Si sente un grosso cambiamento rispetto a quanto fatto in passato, soprattutto per quanto riguarda le sonorità, il modo di registrare le voci e soprattutto le chitarre (e qui vi sarete divertiti davvero tanto!), senza però snaturare quello che è il vostro stile, rendendolo, diciamo così, un po’ più “americano”. Quella con Luca Sapio è stata una produzione a quattro mani?
In parte abbiamo risposto già a questa domanda nella precedente. Per la registrazione delle voci ciò che distingue questo album dal precedente è l’approccio di registrazione soul di Luca. Spesso la voce di Lora nel primo disco era in doppia traccia (double tracking) nello stile un po’ english, mentre in No Desire Control la voce singola, con una bella compressione valvolare, ha reso i testi anche molto più presenti ed intellegibili. Per le chitarre l’uso di microfoni anni ’50 della Blind Faith Records ha tirato fuori il lato più graffiante e grezzo dei nostri riff.

Credo vi si possa definire una band postmoderna. Un po’ come fa Tarantino nei suoi film, voi prendete tutta una serie di riferimenti e “citazioni” per poi metterli insieme e cercare di creare qualcosa di unico. In questo disco i riferimenti sono molteplici, c’è la new wave mischiata al doo wop, c’è il glam ed il dream pop… quali ascolti e quali suggestioni vi hanno influenzato per comporre questo mosaico?
Musicalmente parlando, la particolarità di questo album pensiamo sia proprio l’unione di tre attitudini diverse: i riferimenti di Lora nella musica new wave/post punk, la formazione sixties di Alex e il gusto black americano di Luca. Gli ascolti che ci hanno ispirato sono sia di band storiche come i New Order, i The Cure, R.E.M., Pixies per citarne alcuni. Ma soprattutto ci hanno dato linfa vitale i nuovi album contemporanei che sono usciti qualche anno fa come di artisti come i Chromatics, The Temples, Weyes Blood, Andrew Byrd, e molti altri. Ci è piaciuto avere la consapevolezza di essere circondati di tanta nuova bella musica che non segue le regole del mainstream da talent show.

Vista la natura anglofona del progetto e forti dell’appoggio della Blind Faith Records, state puntando sul mercato estero? C’è un tour in preparazione, e se sì, è prevista anche la possibilità di “sconfinare?”
Si, la Blind Faith Records lavora prevalentemente all’estero e abbiamo riscontrato molti ascolti tra la Francia, la Spagna e la Germania. Questo ci fa molto piacere, dato che il nostro scopo non è quello di rivolgersi ad un pubblico esclusivamente italiano. Per quanto riguarda un’eventuale Tour ci piacerebbe farlo, appunto, in giro per l’Europa, ma forse per questo bisognerà aspettare che la situazione sanitaria sia più sotto controllo.

Si spera che questo sarà per voi un periodo molto impegnato, questo disco ha appena iniziato il suo percorso. Ma cosa ci dite degli Statale 66, visto che Lora è ormai parte integrante della formazione e che, in qualche modo, questo disco attinge a piene mani anche dalle vostre precedenti esperienze? C’è un futuro anche lì?
Con gli Statale sta per uscire un nuovo singolo, scritto a quattro mani (Alex e Lora), che rappresenta anche lì un bel cambio di rotta, si sentono forse più le influenze nel mondo sixties underground newyorkese (Velvet Underground) rispetto a quelle californiane, mischiate con una sonorità alla spaghetti western. Una curiosità è che il mix ed il master del pezzo sono stati curati da Luca Sapio.

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