ROCK


Banda Anonima Romana

Questo c’avemo noi

di Angelo D’Elia

RECENSIONE – Sta’ recensione nun ve serve, sta’ recensione nun la dovete manco da legge!
Lester, come già saprete, è una creatura nata, cresciuta e pasciuta a Roma. Si nutre delle sue contraddizioni, delle sue situazioni al limite, dei suoi odori forti, a volte nauseabondi, delle sue mille realtà. Roma, nel bene e nel male, ci accoglie, ci culla, ci pesta a sangue, ci fa rialzare per poi rifarci lo sgambetto e salvarci a pochi millimetri dal selciato. Chi non vive Roma, non la potrà mai capire.

Esprimersi, quindi, in romanesco idioma (e non ‘romanaccio’, li mortacci vostra…), in questa occasione, ci sembra dovuto, per introdurre il primo lavoro di una band che è una delle più sane espressioni di genuina romanità che ci sia capitato di sentire ultimamente. Per la Banda Anonima Romana (uno dei pochi casi in cui, credo, sia nato prima l’acronimo che il nome per esteso), vale l’avvertimento posto all’inizio del testo, tanto è chiara e schietta la loro proposta. Si tratta di puro, semplice e sguaiato rock n’ roll, declinato in un romanesco che riecheggia classicità: niente slang o giovanilismi, qui si guarda a Califano e Lando Fiorini.

Storie di problemi quotidiani, di situazioni difficili che tutti abbiamo vissuto o di cui ci è stato raccontato, declamate con tono incazzato da Giuliano Chiaramonte (finalmente una voce rabbiosa, potente e non ‘costruita’). Andrea Vettor (batteria) e Matteo Senese (chitarre) seguono di gran mestiere, snocciolando un bel rock blues grezzo e senza troppi fronzoli. Il manifesto programmatico della band lo potete trovare nel singolo Questo C’avemo Noi (qui in basso, trovate anche il videoclip): “Invece de Lee Hooker canto Lando Fiorini, invece de Bukowski c’amo Pasolini… Ma che cazzo voi, questo c’avemo noi!”. Ed hanno maledettamente ragione, perché in troppi ormai si mascherano dietro l’assunto che “il rock non parla Italiano”, e si sbagliano di grosso.

Non importa se al posto del Mississippi ci sia soltanto il biondo Tevere o che Torvajanica non sia proprio come Venice Beach: ognuno ha il proprio orizzonte in cui vivere ed agire, ognuno ha il suo immaginario a cui poter attingere, perché quindi non raccontarlo con i mezzi a disposizione? I BAR lo fanno, e lo fanno a tutto volume.
Un buon esordio quindi, sincero, grezzo ed immediato, che ha negli episodi più duri e tirati i suoi momenti migliori. C’è ancora margine di miglioramento, a volte la mancanza di un basso che dia profondità e spessore si avverte. Insomma, per dirla come la Banda: “Regà, pe’ mo, annamo bene, ma p’a prossima, trovateve n’bassista, e annateve a pijà Roma!”.

B.A.R. – “Banda Anonima Romana”
(Autoprodotto, 2019)

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