ONE MAN BAND


Belly Hole Freak (foto di Veronica Coltellacci)


Il demone sotto la pelle


di Angelo D’Elia

RECENSIONE – Sono tempi duri, difficili, malati. Scene di desolazione apocalittica assediano le nostre coscienze da ogni dove: telefoni, computer, televisione, radio e qualsiasi altro tipo di voce che possa arrivare alle nostre orecchie, ci impone di ‘stare a casa’, di ritirarci e barricarci nel nostro personalissimo fortino, perché lì fuori la morte è dietro l’angolo. Tempi d’oro per l’introspezione, quindi, per scendere a patti con i nostri demoni, ma la musica in questi momenti ci è sempre venuta in soccorso. A guidarci in questo personalissimo viaggio interiore, questa volta c’è un demone in carne ed ossa, il mostro che vive nel nostro ombelico, che s’insinua sotto la pelle e scava a fondo con ferocia.

Belly Hole Freak ci parla con linguaggio primordiale, un blues fragoroso e frastornante che percorre l’intera durata di Bump, Mirrors & Bounce, ultima release di uno dei capostipiti della scena italiana degli One Man Band. Un lavoro carico d’atmosfera e d’inquietudine, ammaliante e violento al tempo stesso, edificato su di un sound ed uno stile davvero unici nel loro genere.

Il disco si apre con suoni ambientali: il crepitare del fuoco, il fischio minaccioso del vento, quasi come se il nostro Freak apparisse come un’evocazione spettrale nella notte più buia, e quando chitarra, voce e stomp box cominciano a fare il loro dovere in 21 Grams/Soul Bounce, ci rendiamo conto che attorno a quel fuoco, a dargli man forte, ci sono i fantasmi di Captain Beefhearth e Screamin’ Jay Hawkins.
Le prime tracce sono violente, tirate, caratterizzate da una velocità d’esecuzione impressionante e da una furia che, lentamente, si stempera e si tramuta in malinconia e lamento. Catrina’s Walk, con l’ausilio della languida tromba di Davide Richichi, ci porta a spasso per i viali allagati della New Orleans devastata dall’uragano, che si fa regione devastata dell’anima. Questo senso di inquietudine non abbandonerà più questi solchi ed anche un grido di speranza e fraternità come la Freedom di Ritchie Havens (unico pezzo non autografo del disco) si trasforma, tra le mani e le corde vocali di BHF, in uno straziante urlo di dolore.

9 Years Gone chiude il disco all’insegna dell’ascesi, della redenzione, in un territorio dove il blues s’incrocia con il raga indiano, fino a sfumare lentamente nel silenzio, per farci ritornare attorno a quel fuoco, dove forse si affacciano le prime luci del mattino. Il fuoco si spegne, il demone ritorna nell’oscurità, si sente ormai soltanto il fischio del vento, portatore, forse, finalmente, di un po’ di pace.
Un percorso verso la luce, quindi, per esorcizzare demoni personali e quelli di tutti noi che decidiamo di dare ascolto al mostro che ci vive in pancia e di fare un viaggio con lui fino al crocevia, per ballare ed ululare insieme sotto la luna.

 

Belly Hole Freak – “Bump, Mirrors & Bounce”
(Autoprodotto, 2019)

Ascolto obbligato: Catrina’s Walk

 

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