INDIE ROCK
Black Tail (foto Bubi Visual Arts)
Un viaggio onirico, indietro nel tempo e nello spazio
di Marco Pacella
RECENSIONE – Quando due anni fa abbiamo parlato dell’album precedente, One Day We Drove Out of Town, ci è stato facile individuare nei Black Tail il raggiungimento di una piena maturità espressiva. Se con quel disco, infatti, la band capitanata dal polistrumentista Cristiano Pizzuti – con Luca Cardone al basso e Roberto Bonfanti alla batteria – aveva dimostrato di saper coniugare il chiaro impianto sonoro del miglior indie americano con una più personale traccia espressiva e solare, il discorso arriva al consolidamento con l’ultima uscita discografica.
You Can Dream It In Reverse [MiaCameretta / Lady Sometimes, 2020] è infatti un album solido, un punto d’arrivo e di meditazione. Beninteso, le sonorità, gli agganci, l’impronta continuano a rimandare a quella generazione che fra anni ’90 e primi Duemila è riuscita a emancipare in musica una certa provincia americana, distillando poesia anche dalla più monotona routine quotidiana. Ed è proprio per questo che i Black Tail riescono di nuovo a centrare l’obiettivo: dichiarano esplicitamente di partire da lì – Wilco, Sparklehorse, Kurt Vile, Stephen Malkmus sono i primi nomi di una lista di altissimo livello espressivo – ma non disdegnano un ritorno alle proprie, personali radici.
“We’ve been young enough, we know how to break up our knees”.
Meditazione, si diceva. Fra i nove brani torna più volte un certo richiamo al passato, a quella stagione eroica – ma di un eroismo fieramente adolescenziale – in cui l’attitudine lo-fi non poteva che essere un’esigenza concreta data dall’esiguità dei mezzi, un periodo in cui, come affermano, “abbiamo messo in atto una ribellione silenziosa dalle camerette, dai garage, dalle sale prove ai circoli, abbiamo visto delinearsi un suono indie che era anche il perimetro di uno spazio che finalmente sapeva descriverci”.
È come se la scrittura musicale, ormai consapevole e affinata, necessitasse di tornare indietro per riprovare le stesse emozioni di un tempo e rimetterle in gioco nell’età adulta, quando tutto sembra già scritto, immutabile.
Dall’ariosa China Blue (Sixteen) che segna l’apertura della scaletta, alla meditativa Sequoia, giungendo fino a The Great Comet of 1996 – con la conclusiva Firecracker uno dei vertici compositivi dell’album – e poi giù verso la più tirata Not OK, l’ascolto scorre leggero fra accordi aperti, riverberi, arpeggi e rapide incursioni sonore rumoriste a vestire il sound di quella tanto agognata freschezza da bassa fedeltà. You Can Dream It In Reverse si mostra dunque, fin dal titolo, per ciò che è: un viaggio onirico, indietro nel tempo e nello spazio, un punto di osservazione privilegiato per meditare su sé stessi.
Black Tail – “You Can Dream It In Reverse”
(MiaCameretta Records / Lady Sometimes Records, 2020)
Ascolto obbligato: The Great Comet of 1996