ROCK
Kutso
Solo a metà
di Stefano Capolongo
RECENSIONE – In principio fu Marzia e il suo pensiero dominante, poi toccò ad Elisa e alla bellezza spensierata di un amore puro e giovane. Per i Kutso quello del ‘13-‘14-‘15 fu un triennio glorioso che portò Decadendo (su un materasso sporco) e Musica per persone sensibili sino al concertone del Primo Maggio e a sfiorare la vittoria tra le nuove proposte del Festival di Sanremo. Il carrozzone dei castelli romani, la versione più rustica de Lo stato sociale, faceva divertire con il suo approccio ironico e scanzonato tanto che appena tre anni fa Matteo Gabbianelli rispondeva così ad XL che lo incalzava circa gli obiettivi della band: “Diventare una realtà nazionale a tutti gli effetti e raggiungere un consenso tale da poterlo sfruttare in futuro per un’eventuale candidatura parlamentare”.
A pensarci ora saremmo ben lieti che questa proiezione si fosse avverata ma invece, citando Guccini, dei Kutso sembra non sia rimasto niente. O quasi. Una formazione del tutto nuova con al timone ancora Gabbianelli, reduce da due anni di intenso lavoro in studio che vedono la luce con il singolo Che effetto fa, manifesto di un nuovo corso e di un sound rinnovato. Meno sudore, meno edonismo, più synth e un occhio strizzato all’albero genealogico di Bomba Dischi e cloni che non fa mai male.
La ricetta dei nuovi Kutso non è quindi innovativa ma in certi momenti funziona: non parliamo del succitato singolo che parafrasa il compagno di scuola di Venditti, né di Disoccupato e la sua retorica stantia, tantomeno il pop sintetico e fuori moda di Strade interrotte. No, parliamo di quei momenti in cui si assapora ancora quel piglio giovanilista, velenoso, anti-social, da ‘underdog’ ma riveduto e corretto: Le rose morte, Il segreto di Giulio, Niente cuoricini, Giovani speranze. È questa la fotografia di una band che prova a piegarsi a certe logiche ma solo a metà e che cerca di mantenere la propria identità ma riuscendoci, ancora una volta, solo a metà.
Kutso – “Che effetto fa”
(Goodfellas, 2018)