JAZZ / PROG
Stefano Lenzi Quintet – (Foto di Massimo Franceschina)
Maestri del ‘non genere’
di Teri & Scimemi
RECENSIONE – Chissà se il suono derivante dalla pronuncia di Re Gudu, traccia che dà il titolo al nuovo album dello Stefano Lenzi Quintet (Jazzit Records) sia la continuazione degli inarrestabili vocalizzi “Du-lu-gu-du” del brano di apertura Belfiè del loro disco di esordio Somiglianze (M.i.l.k. Studios 2013), recensito su Lester nel 2015, dal nostro Angelo D’Elia, in occasione di un loro live al Lian Club.
Re Gudu è stato registrato non in uno studio ma in una location insolita: un antico casale nella Maremma toscana, all’interno del quale Livio Magnini (che si è occupato della registrazione e del missaggio dell’album) ha posizionato le attrezzature necessarie a raccogliere le registrazioni in presa diretta degli artisti, cogliendo così i suoni degli strumenti e le calde atmosfere derivanti dagli ambienti. Alla stregua dei Led Zeppelin, nella villa di Headley Grange nell’Hampshire, e dei Rolling Stones, nella villa di Nellcôte in Costa Azzurra, il luogo di registrazione del nuovo lavoro del quintetto diventa il perfetto scenario di incontro tra molteplici intrecci stilistici che si accavallano su una tela magicamente intessuta da artisti di elevato lignaggio.
In questo album sono presenti strumenti acustici quali pianoforte e double bass (notevole il solo in Maybe) che si intersecano e si alternano con strumenti tipicamente elettrici quali chitarra elettrica e piano Rhodes, avvolti dal sapiente utilizzo di effetti d’ambiente e di modulazione applicati alla voce, nella tensione di una raffinata ricerca vocale.
Stefano Lenzi (voce), Alessandro De Berti (chitarra), Antonino Zappulla (pianoforte/Rhodes), Davide Pentassuglia (batteria) e Stefano Battaglia (contrabbasso) sono i componenti di una formazione che nasce nel 2012 dall’unione di personalità eterogenee e con molteplici e diversi percorsi professionali. A differenza di Somiglianze, il loro primo disco, che è privo di testo, Re Gudu alterna liriche autografe dalle linee melodiche ritmicamente scandite, che richiamano sonorità tipiche del rock progressive (Re Gudu), a parole e melodie intramontabili come Michelle dei Beatles (qui immortalata in un’irresistibile versione swing con uno skat che degenera inaspettatamente nell’Invenzione in Re minore di Bach), all’unico brano senza testo, con la preponderante presenza di un piano Rhodes, dalle atmosfere tipicamente ‘floydiane’ (Ripensandoci).
Eccellente l’omaggio al grande Charles Bukowski con una versione musicata della poesia dal testo taumaturgico Shot in the eye (un’efficace denuncia contro la stupidità umana e la ricerca del proprio pensiero diverso da quello comune), magistralmente supportata dall’accompagnamento musicale della band e dal sound frutto della collaborazione con Livio Magnini, tramite il sapiente utilizzo di un crescendo verso l’oscillazione di un delay applicato alla voce sulla soglia di un feedback incontrollato che attribuisce all’intero brano una carica esplosiva di incroci lisergici.
Un salto nella musica libera. Musicisti professionisti e maestri del ‘non genere’ e delle ‘non categorie’. Re Gudu è un luogo non luogo, uno spazio senza confini, dove la musica è libera e non può essere costretta in alcuna classificazione di stile.
Stefano Lenzi Quintet – “ Re Gudu”
(Jazzit Records – allegato al n. 103, Luglio/Agosto 2018 di Jazzit)