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Santamarya (foto di Dario Ianiro)


Fra Roma e la Tuscia, ma solo come punto di partenza

Il recente “Nessuno ricorda niente”, Primo Maggio, Mei e mamma Rai ad attestare la crescita dei Santamarya

 

di Ilaria Pantusa

Immaginate di avere progetti e sogni da realizzare, mentre i riconoscimenti per il vostro lavoro arrivano, eccome se arrivano! Immaginate di trovarvi, all’improvviso, davanti ad un ostacolo e di dover ricalibrare i passi e gli obiettivi. È quello che è accaduto ai Santamarya, giovani, talentuosi e originari della Tuscia, che si sono ritrovati, nel bel mezzo di questa tempesta chiamata pandemia, al lavoro su un album che non aspettava altro che uscire, mentre i singoli raccoglievano i plausi della critica e li portavano sui palchi di Primo Maggio e Mei e nelle stazioni radiofoniche di mamma Rai.

Quello che doveva essere il loro disco d’esordio è diventato un EP, Nessuno ricorda niente, pubblicato il 21 maggio da Mistress/Goodfellas e prodotto da Giorgio Maria Condemi. Contiene in tutto sei tracce, i quattro singoli più due inediti, Nessuno ricorda niente e Fiori di gesso, due brani che completano il cerchio già tratteggiato da Fantasmi e Cooper.

La coerenza di suoni e di atmosfere rende il sound dei Santamarya già riconoscibile, mentre dà soddisfazione constatare che c’è un certo talento nel mescolare nostalgia intima a riferimenti culturali di ampio respiro, come il Battisti degli anni ’70 e quella creatura folle e onirica di David Lynch che è stata Twin Peaks. Il tutto è filtrato attraverso una lente particolare, quella della provincia viterbese, una Tuscia vicina e lontana dal caos urbano che comunque sembra ispirare, alla stregua del cinema, della letteratura e della calma soffice della campagna, i Santamarya.
In attesa di ritrovarli in giro per concerti in questa estate romana, noi di Lester abbiamo scambiato qualche parola con loro.

Santamarya (foto di Dario Ianiro)

Un cammino irto di difficoltà per arrivare a questo primo Ep, “Nessuno ricorda niente”, ma anche di soddisfazioni, ad esempio la vittoria del MEI Superstage come miglior band emergente del 2020. Quanto hanno influito le difficoltà dovute alla pandemia sul percorso fatto per arrivare al vostro primo lavoro?
Hanno influito molto, ma non per forza in maniera negativa. Sicuramente i nostri piani iniziali sono stati stravolti e quello che doveva essere il disco d’esordio a inizio 2020 è diventato un EP nel 2021, ma abbiamo avuto molto più tempo del previsto per affinare i brani, scriverne nuovi e lavorare su quello che sarà il nostro suono in futuro. Suonare a Faenza come vincitori del MEI Superstage e per la finalissima del Primo Maggio Next ci ha fatto capire che stiamo lavorando bene, ma abbiamo ancora tanto da fare.

Nelle sei tracce ci sono numerosi riferimenti alla musica italiana anni ’70 e ’80, ma anche a cinema e letteratura, il tutto attraverso la lente della vita in provincia, la Tuscia. Che legame c’è tra la vostra musica e la vostra provenienza?
Siamo divoratori di musica, ne ascoltiamo tantissima e cerchiamo di essere sempre sensibili alle novità, ma i riferimenti dell’EP sono per lo più legati al passato. Il cantautorato, ma anche la new wave, il dream pop e alcune band imprescindibili come i Tame Impala o gli Arcade Fire. Ci dividiamo tra Roma e la Tuscia, ma è la provincia e i suoi personaggi che ci ispirano. C’è qui una certa tendenza alla calma e alla tranquillità nell’affrontare la vita (o nel nostro caso la scrittura e la produzione dei brani) che ci rappresenta molto. La moda del lento, direbbero i Baustelle (che adoriamo).

Roma è una città accogliente per gli artisti della provincia?
Nel nostro caso sì. Abbiamo notato da subito molta curiosità per questo progetto. Non sappiamo quanto l’essere percepiti come outsiders nell’universo pop indipendente derivi dalla nostra collocazione geografica o dalla musica che facciamo, ma ci piace.

C’è grande cura per gli arrangiamenti: esiste un ‘fattore Santamarya’ (un approccio, un sistema, un suono…) che voi riconoscete come tipico della vostra musica?
Come accennavamo prima, il tempo extra che abbiamo avuto in seguito alla pandemia ci ha permesso di sviluppare il sound che vogliamo avere in futuro. In generale, cerchiamo sempre di essere sinceri, senza l’ossessione di correre dietro al suono o al cliché del momento. Nella produzione dell’EP, se c’è stato un ‘fattore Santamarya’, quello è sicuramente il nostro produttore artistico Giorgio. È stato determinante per la nostra crescita, nell’arrangiamento dei brani, nel lavoro sui testi. È infaticabile. Con lui abbiamo smontato e rimontato i pezzi più volte, facendo sessioni in studio anche di 16 ore. Ci ha trasmesso tanta competenza maturata lavorando per anni con i grandissimi. Gli dobbiamo molto, per noi ormai è un fratello maggiore.

Quali sono i progetti per il futuro? Concerti: quando e dove?
Ci sono dei nuovi brani pronti e altri in lavorazione. Abbiamo le idee chiare, ma è ancora presto per poterli ascoltare. Intanto ci godiamo il ritorno ai concerti. Quest’estate stiamo suonando in giro, dividendoci tra set in elettrico e altri più intimi, in acustico. Il 21 luglio saremo a Roma insieme a Gianluca De Rubertis e EDY al Largo Venue con uno speciale set acustico per promuovere Nessuno ricorda niente.

 

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