ONE MAN BAND


Stefano Pump Lee


La nostra musica leggera


di Angelo D’Elia

RECENSIONE – Direttamente da quella piccola galassia in continuo fermento e costante espansione che è la scena degli one man band, ecco giungere un altro tassello di un mosaico che, in barba al sentire comune ed alle restrizioni imposte dalla miseria del presente in cui siamo incastrati, assume contorni sempre più ampi e sfaccettati. Su queste pagine si è sempre parlato nel merito e, tentando di scansare le implicazioni e l’eventuale retorica che si porterebbe dietro il fare discorsi sulle uscite discografiche e sul ruolo della Musica in generale nei tempi che stiamo vivendo (dissertazioni, giuste o sbagliate, che meriterebbero ben altro spazio ed altri contesti), ci limitiamo a dire che, di questi tempi, produzioni del genere, così genuinamente dal basso nel senso più ‘alto’ del termine, sono un segnale sano di resistenza attiva. Ci concediamo, quindi, di accoglierle con un atteggiamento di benevolenza (e non di accondiscendenza, sia ben chiaro).

Perché questo “Pump What?? Pump Lee!!”, disco d’esordio di Stefano Pump Lee, è un lavoro che indubbiamente si fa ascoltare con facilità e leggerezza, ed è questa la parola chiave. Se nelle altre uscite di questo genere, un tratto comune lo si poteva individuare in una tendenza alla saturazione dei suoni e ad una certa cupezza di fondo, questo disco se ne discosta proponendo un’atmosfera insolitamente solare e gioiosa. Si può effettivamente parlare a tutti gli effetti di ‘musica leggera’ (ma non leggerissima), il che non vuol dire inconsistente, ma semplicemente musica da poter ascoltare a cuor contento, istintivamente, che va benissimo anche come sottofondo mentre si fa altro, orecchiabile e senza troppi patemi d’animo, d’altronde c’è bisogno anche di questo.

Questa leggerezza si traduce in un folk ritmato e sanguigno, con qualche deviazione western, il tutto rigorosamente acustico, in una parola musica da busker, di quella che ascoltereste agli angoli delle strade in una giornata primaverile. Stefano maneggia con maestria i suoi strumenti a corda, con una predilezione per ukulele e mandolino, che danno alle composizioni un tono squillante ed un respiro ampio, condite con il costante apporto di una dylaniana armonica a bocca, come nell’iniziale “Where I’m Bound To Go”, tra i migliori pezzi in scaletta e che ci cala efficacemente nell’atmosfera del disco. Quindici pezzi forse sono troppi, di riempitivi ce ne sono (della quadriglia “Deep Bule Eyes”, ad esempio, si poteva fare a meno), e qui e là potrebbe insorgere una vaga sensazione di monotonia. Ma pezzi come la lenta e riflessiva “Beware Where You Sleep” (con l’accompagnamento al banjo di Gipsy Rufina, altro nome da tener d’occhio), o la filastrocca quasi punk “Sister Judy”, possono anche valere il prezzo del biglietto.

 

Stefano Pump Lee – “Pump What? Pump Lee!”
(Autoprodotto, 2021)

Ascolto obbligato: “Beware Where You Sleep”

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