WORLD MUSIC
Tangram in studio (Echo Loco Recording Studio)
Quando Africa e Medioriente organizzano una jam
Un viaggio verso casa, in tutte le direzioni. L’esordio dei fratelli Damascelli meritava un approfondimento
di Pietro Doto
INTERVISTA – Come una prolungata jam session, fluida, con ogni brano che diluisce nel successivo, ognuno eco dell’altro, scandito da umori d’Africa e d’Oriente. Mani che si tendono sui confini, si stringono e diventano un uno omogeneo. Di 40 minuti, circa. È l’esordio di Lisa e Daniel Damascelli, dei Tangram. È il ‘tangram romano’, rompicapo che consiste sempre in sette forme geometriche da assemblare a piacimento creando ogni volta figure diverse, ma che non è più solo cinese, è anche africano-armeno-turco-balcanico, ecc… semplicemente ha deciso di moltiplicare la sua identità. E il tutto è successo a Roma.
Lisa, dopo anni di studio classico e moderno della chitarra, si è innamorata dell’Oud, il liuto di origine mediorientale, approcciandosi al mondo della musica modale attraverso il repertorio e le tecniche persiana, araba e recentemente turca e greca. Daniel studia pianoforte classico e moderno, dopo una parentesi di musica elettronica ha scoperto la Kora, l’arpa a 21 corde dell’Africa dell’Ovest, suonata dai griot, i cantastorie locali, approfondendo lo studio dello strumento in Senegal e in Gambia. Non sempre succede, questa è stata la volta buona, quella che prende la forma di un disco.
Il problema principale che si pone di fronte ad un lavoro ‘acustico’, per lo più strumentale, che si ispira a culture musicali distanti anche anni luce dalla propria di origine, è la credibilità. Gli studi e gli approfondimenti della materia potrebbero non bastare. Tangram, invece, fonda la sua forza proprio su quella. I ragazzi sono riusciti a immergersi e immedesimarsi e noi con loro. Mondi lontani e a volte persino opposti, incrociati in un unico luogo, equidistante nella sua priorità di centro, da tutti. E non è suggestione causata dal momento storico che stiamo vivendo, il deserto si sente, come una certa brezza malinconica che l’accompagna, da levante, spesso e volentieri.
Le punte emotive di Jarabi e Klum ve Hakol, la foga di The Oud the Cat and the Ugly, sono la culla di un passaporto strappato, incredibile che a realizzarle siano ragazzi così giovani e di Roma. Il disco dei fratelli è zeppo di storie e riferimenti disparati, fra titoli, contenuti e strumenti di estrazione diversa; è un debutto (registrato benissimo) e per definizione porta in sé tutto il possibile, a sua volta già frutto di un percorso, il più lungo, il più fresco. È solo l’inizio…
Cosa vi ha affascinato di tali sonorità? Perché le avete sentite vostre?
DANIEL – Veniamo da una famiglia sparsa per il mondo, fin da piccoli le nostre orecchie si sono abituate a sentire sonorità di tante lingue differenti e relative musiche. Abbiamo sempre ascoltato di tutto e abbiamo avuto la fortuna di viaggiare: la mia passione per la musica del West Africa, per esempio, viene da un viaggio che ho fatto, dalla scoperta folgorante della kora e dall’incontro graduale con quella tradizione e i suoi interpreti.
LISA – Di recente ho partecipato ad un laboratorio online di canti ‘anatolici’ e cioè di repertorio e tecniche vocali di brani turchi, curdi, afgani, tramite l’organizzazione Labyrinth (che propone innumerevoli workshop di musica dal mondo – uno dei miei principali tramite con questi generi) e sin dalle prime ore di lezione ho avuto la sensazione che qualcosa di meraviglioso stesse avvenendo dentro di me. Così è stato il mio incontro con l’oud: amore a prima vista, di quelli che ti danno la sensazione di (ri)trovare un compagno per la vita. L’oud e la musica modale con le sue diverse tradizioni mi danno la possibilità di scoprire, esprimere e comunicare me stessa.
DANIEL – Evidentemente qualcosa di queste melodie lontane risuona in noi, sarà anche la curiosità e il fascino che proviamo per le novità, viste come un’apertura mentale, un’occasione di crescita, nuovi orizzonti da fare propri. Ascoltando musica su internet, poi, si passa da uno stile all’altro e ci si sente parte del villaggio globale; a volte lo si fa con superficialità ma in qualche modo questa varietà di ascolti lascia il segno, risuona in noi. In generale sono affascinato dall’etnomusicologia, che ho studiato anche all’università e da qualsiasi sonorità ‘altra’. A bruciapelo faccio i nomi di Keith Jarrett, Bebo Valdés, King Crimson, Debussy, Bombino, Eugenio Bennato, Pata Negra, Alsarah&the Nubatones, Tata Dindin Jobarteh, Noumoucounda Cissokho, Madya Diebate e ancora per la kora tanti altri artisti meravigliosi incontrati durante il mio viaggio in Senegambia che meriterebbero tanti riconoscimenti in più.
LISA – Se le fondamenta del mio approccio allo studio specifico dell’oud sono la musica classica persiana, araba e turco-ottomana, il bacino creativo dal quale attingo è molto più ampio e variegato. Le mie fonti di ispirazione musicale negli ultimi anni sono stati suonatori di oud che hanno mischiato la tradizione e sonorità più “europee” come gli iracheni Munir Bashir e Naseer Shamma, l’armeno-americano Ara Dinkjian e con il loro ‘etno-jazz’ i tunisini Dhafer Youssef e Anouar Brahem (la mia fonte ispiratrice d’elezione). E ancora lo sperimentalismo jazz del piano di Tigran Hamasyan e della voce di Areni Agbabian, entrambi armeni d’origine; le sonorità da blues del deserto maliano del grande Ali Farka Touré e dei Tinariwen; quelle d’oltreoceano dei cubani Buena Vista Social Club e dell’argentina Mercedes Sosa; il rebetiko greco, le musiche balcaniche e la classica indiana.
Quando vi siete accorti di avere abbastanza materiale per un album? O vi siete posti tale obiettivo fin dall’inizio?
LISA – Tangram è nato in un momento personale e collettivo molto particolare: sia Daniel che io ci siamo trovati ri-catapultati nella nostra città natale dallo scoppio della pandemia. A marzo del 2020, infatti, lui era in Gambia a studiare la kora ed io nel sud dell’India immersa in alcuni progetti musicali e formativi. Entrambi siamo tornati con un carico fatto di geografie, culture, costumi e musiche nuove e ancora tutto da vagliare e metabolizzare. Ci siamo inoltre ritrovati sotto lo stesso tetto dopo due anni trascorsi in diverse città e un po’ per desiderio, un po’ per necessità, siamo arrivati a conoscerci come mai prima. In estate, per una serata di promozione di un bellissimo progetto romano di lotta allo spreco alimentare (ReFoodgees), nel giro di una settimana abbiamo messo su un repertorio di un paio d’ore tra melodie improvvisate e brani tradizionali. Ed eccoci a settembre: “Perché non registriamo in studio da Ariel?”. Daniel ed io abbiamo la grande fortuna di avere un fratello non solo musicista ma anche fonico di professione e co-proprietario di uno studio di registrazione a Roma (Echo Loco Recording Studio): è lui che ha registrato, mixato e masterizzato Tangram.
(Continua dopo il video)
Perché tante distanze e mondi (apparentemente) lontani? C’è un filo conduttore netto?
LISA – Io credo che un filo conduttore vada ricercato in una dimensione ‘inconscia’: il filo è stato la spontaneità della creazione, nata e sviluppatasi in tempi davvero brevi ma allo stesso tempo frutto di una lunga, inconsapevole incubazione fatta di venticinque anni di vita familiare condivisa, di intense esperienze e viaggi personali (ma anche comuni: la copertina dell’album ci ritrae di qualche anno più giovani nel deserto del Sahara marocchino) e delle più recenti condivisioni e aperture emotive.
DANIEL – L’album si configura come una dialettica, non sempre facile, sotto forma di musica. Ogni brano è parte del puzzle delle nostre vite che si intrecciano, sì, dei nostri viaggi e di quello che ne abbiamo appreso. Per esempio Lu Rusciu Te Lu Mare è figlio del nostro viaggio ad agosto in Puglia, una terra accogliente con persone straordinarie. Jarabi e Mali Sadio sono due brani della tradizione dei griot mandinka dell’Africa Occidentale, potremmo definirli ‘standard’ come nel jazz. Ho imparato ad eseguirli direttamente da maestri gambiani e senegalesi e canto il testo originale in mandinka ‘maccheronico’. Pligouri un piatto simile al cous cous che mangiava Lisa in Grecia. Dunque si torna sempre alla quotidianità dei nostri viaggi.
Quanta libertà d’interpretazione c’è? E quanto, invece, in termini di rispetto verso una tradizione?
DANIEL – L’accoppiata oud-kora non è molto comune e già mettere insieme due strumenti di tradizioni diverse è una rivisitazione sul tema. Sicuramente c’è molto rispetto da parte nostra nell’utilizzo di questi strumenti, entrambi abbiamo appreso a suonarli da maestri della tradizione attenendoci ai ‘canoni’, per poi farli nostri e inevitabilmente creare un melange frutto dei nostri ascolti e delle nostre esperienze.
LISA – Essendo noi l’album, mi viene da rispondere, di libertà ce n’è tanta. Le emozioni, i pensieri e le sensazioni che sono confluiti nell’album si esprimono attingendo da un mondo musicale vario e vasto, senza confini, dalle ninne nanne in spagnolo, in ebraico e in ungherese con le quali nostra madre ci ha cresciuti, agli studi classici e moderni della chitarra e del pianoforte durante la nostra infanzia e adolescenza.
Si tratta di musica che, istintivamente, riconduce a riflessione e contemplazione. Qual è secondo voi il contesto migliore per ascoltarvi? In solitudine?
LISA – In parte sì, credo che sia la musica adatta ad una lunga passeggiata in solitudine, magari in riva al mare, immersi nella natura o anche passeggiando senza meta per le vie cittadine. Abbiamo anche notato come dal vivo, ascoltata da un pubblico più vasto, abbia creato un’atmosfera di gruppo del tutto particolare, molto intima – di viaggio condiviso!
DANIEL – Non per forza in solitudine, infatti, credo comunque in buona compagnia, con qualche buona amicizia, in un momento di intesa. Mi hanno detto che è ottima anche per i viaggi in macchina! Essendo per la maggior parte strumentale porta a un tipo di ascolto più assorto, introspettivo, azzarderei dicendo più mistico. Questo per quanto riguarda il disco, la dimensione live sarebbe senza dubbio la dimensione ideale.
LISA – Tangram è un disco prevalentemente strumentale e questo perché sia Daniel che io nasciamo primariamente come strumentisti e non come cantanti. Ciononostante negli ultimi anni mi sono aperta all’esplorazione vocale e ho sperimentato l’ovvio: la voce è lo strumento più mio che io possa usare.
Che sviluppi pensiate possa avere la vostra musica? È plausibile immaginare delle percussioni in futuro? È possibile immaginare temi di umore ‘brioso’?
LISA – Più che plausibile! Anzi, nel nostro concerto romano pre-disco abbiamo avuto la fortuna e il piacere di invitare sul palco due grandi percussionisti romani, Giovanni Squillacioti a tamburello, riq e darbuka e Jacopo Narici allo djembe. E stiamo già immaginando future collaborazioni con loro e tanti altri musicisti.
DANIEL – Personalmente mi piacerebbe tantissimo inserire delle percussioni, per poco non ci sono state anche già all’interno di questo disco. Mi piacerebbe anche sperimentare con altri strumenti, anche elettronici. Tutto il disco è in presa diretta e questo è parte del suo fascino, però sarebbe interessante in futuro registrare e aggiungere strumenti anche elettronici in un secondo momento, sperimentare. I temi briosi usciranno fuori, fanno parte del nostro lato giocoso, delle nostre jam session, non a caso emerge secondo me nell’ultimo brano dove suoniamo con nostro fratello come se stessimo dopo cena nel terrazzo di casa.
LISA – Per quanto riguarda l’umore delle tonalità dei nostri pezzi, dato che fino a sei anni fa non conoscevo l’oud e il mondo della musica modale alla quale lo strumento appartiene, posso capire cosa intendi! Oggi però il mio orecchio non riconosce più una differenza tra ‘brioso’ e ‘non brioso’ nella nostra musica. Credo sia tutta questione di abitudine, tanto musicale quanto mentale, di cosa consideriamo ‘normale’ e cosa ‘altro’.
Perché alla fine mi è venuta voglia di ascoltare i Jefferson Airplane?
LISA – Davvero buffo che tu ce lo chieda! La prima stesura della biografia del progetto comprendeva la psichedelia nell’elenco dei generi musicali. Poi mi è sorto il dubbio di dove fosse esattamente questa vena psichedelica… e invece, a quanto pare…
DANIEL – Interessante! In effetti è una musica che nasce da viaggi e porta a viaggi mentali, quindi ha in un certo senso una connessione con il rock psichedelico: apre nuove porte della percezione.
TANGRAM BOX
Guida all’ascolto
Tangram è in sé un viaggio di esplorazione dove luoghi geografici e luoghi interiori apparentemente lontani si ritrovano a dialogare tra loro. L’ascoltatore è invitato a imbarcarsi con noi dal primo brano dell’album.
KINKELIBA – È il nome di una bevanda rigenerante e salutare simile al tè che si beve in West Africa. Composto da Daniel, introduce i ‘cantastorie’ nonché compagni di viaggio principali, l’oud e la kora, e le nostre voci, qui unisone in un soffuso controcanto.
PLIGOURI – Il secondo brano originale si apre con un’improvvisazione di oud che ricalca la tradizione del ‘taksim’, la sezione introduttiva del repertorio modale arabo, mediorientale, turco, greco. Prende il nome proprio dal piatto greco che ero intenta a godermi nella cucina ateniese che è stata la mia casa per tre mesi nell’autunno del 2019. L’ispirazione ha colpito – anche grazie al clarinetto basso del mio ospite che si esercitava in salotto –, la forchetta si è fermata a mezz’aria e oud in grembo ho registrato in tutta fretta sul cellulare la melodia principale.
JARABI – (“Amore” in lingua mandinka) è un brano tradizionale dell’Africa Occidentale e la nostra interpretazione introduce un nuovo/vecchio compagno di viaggio, la chitarra, il mio primo mezzo di espressione artistica e interiore.
LU RUSCIU TE LU MARE – Proprio di un amore (impossibile) parla Lu Rusciu Te lu Mare, entrato nel repertorio grazie al recente viaggio in comune in Salento. A me ricordava anche il fervore adolescenziale delle manifestazioni romane passate a cantare a squarciagola Le radici ‘ca tieni dei Sud Sound System tra un “scendi giù / manifesta pure tu” e l’altro…
L’ISTRICE – Al centro del viaggio c’è L’Istrice con i toni cupi e onirici del pianoforte; il titolo viene dalla poesia Sotto i colpi di un nostro prozio acquisito, il poeta, regista e documentarista Nelo Risi, scomparso nel 2015, che imparai a memoria in prima media. “Sapessero / che disarmato è il cuore / dove più la corazza è alta / tutta borchie e lastre, e come sotto / è tenero l’istrice”, recita la seconda e ultima strofa. Sono quelle borchie, quelle lastre e il sottostante vulnerabile aggroviglio di emozioni celate e spesso trattenute ad essere finalmente lasciati liberi di esprimersi nella melodia e nell’improvvisazione finale di oud.
LA ZATTERA – È stato l’unico brano composto a quattro mani e l’ultimo ad essere registrato, tanto che durante il nostro live bolognese di lancio del disco era ancora un “senza titolo” e sono stati gli attenti ascoltatori ad aiutarci nel trovare quello giusto: la zattera rappresenta il viaggio, la scoperta, le difficoltà che si incontrano lungo il cammino, le migrazioni passate presenti e future.
MALI SADIO – È il secondo brano tradizionale dell’Africa occidentale da noi re-interpretato in controcanto: siamo in quel momento del viaggio nel quale il viaggiatore, percependo la fine avvicinarsi, ne richiama mentalmente l’inizio e si stupisce della strada già percorsa…
KLUM VE HAKOL – È un altro brano di mia composizione ed è anche il titolo di una piccola poesia in ebraico che composi da bambina durante una lezione di nostra madre nel tentativo (purtroppo finora vano) di insegnarci una delle sue lingue materne. “Klum ve hakol” significa “niente e tutto” e mi piace immaginarla come metafora dell’eterno scorrere della vita, rappresentato nel brano dal suo andamento ciclico. Per coincidenza, inoltre, l’accostamento tra opposti ben rende omaggio ad un’altra imprescindibile fonte di ispirazione musicale, nostro padre Lucio, il cui secondo disco si intitola Il pieno e il vuoto (2006) e la cui chitarra accompagna oud e piano nel brano in questione.
THE OUD THE CAT AND THE UGLY – Infine con The oud the cat and the ugly e il suo riff dai toni di blues del deserto, arricchito dalla sonorità della chitarra slide di nostro fratello Ariel e dell’harmonium di sottofondo di Elisa Zoot, nostra sorella acquisita, si conclude (per ora…) il viaggio.
Lisa Damascelli
Tangram: “Tangram”
(Autoprodotto, 2020)
Ascolto obbligato: “The Oud The Cat and The Ugly”