COUNTRY / FOLK


Courtney Marie Andrews (Foto di Giovanni Marotta)


Diciotto anni di Mojo Station: tra il Tennessee e l’Apocalisse


di Angelo D’Elia

Il Mojo Station Blues Festival diventa maggiorenne e raggiunge l’agognata meta delle 18 edizioni, un traguardo celebrato con una serata davvero di altissimo livello. Nel corso degli anni, Mojo Station ha accumulato un seguito ogni anno più vasto ed allargato, portando a Roma le migliori proposte del panorama internazionale della musica e della cultura african american (come Cedric Burnside, Fantastic Negrito e North Mississippi All Stars, per nominarne alcuni), ma sempre con un occhio di riguardo per le realtà locali. La voglia di ripartire a pieno regime era tanta, lo testimonia l’affluenza davvero massiccia e l’atmosfera di diffuso entusiasmo che si respirava al Monk il 7 giugno.

Due i nomi in cartellone, come sempre un ospite straniero ed una band del panorama locale. Le danze sono state aperte in maniera folgorante dagli Archive Valley, trio dalla composizione tanto eterogenea quanto compatta, che fonde armoniosamente le influenze di deriva appalachiana del frontman Matan Rochlitz (vero virtuoso del banjo clawhammer, dotato di una estensione vocale impressionante, che riesce a modulare a suo piacimento), all’esperienza in ambito di jazz e pop di Edoardo Petretti (tastiere e bandoneon) e Marco Zenini (contrabbasso).
Ciò che ne esce fuori, è un vero e proprio fiume in piena: la base del repertorio, ben radicato nel folk e nel bluegrass, permette una rampa di lancio verso improvvisazioni e fughe strumentali che spaziano dal jazz al dark country fino addirittura a sfociare, in alcuni momenti, nella pura psichedelia. “Tra il Tennessee e l’Apocalisse”, annuncia Matan Rochlitz prima di attaccare uno dei pezzi in scaletta: non ci sentiamo di poter dare una definizione migliore.

La chiusura è stata di quelle speciali. Courtney Marie Andrews, stella affermata del country folk a livello mondiale, ci ha semplicemente incantati. Come ogni cosa meravigliosa e senza tempo, la sua bellezza risiede nella lentezza e nella semplicità. Una voce, calda ed eterea, armoniosa e profonda, una chitarra o qualche nota di pianoforte, una sensibilità capace di toccare (e toccarti) corde profondissime, il carisma di chi questo tipo di musica ce lo ha ben radicato nel DNA. Per tutta la durata del set, abbiamo semplicemente fluttuato in una bolla di dolce malinconia, quasi in stato di dormiveglia, ed alla fine ci siamo risvegliati dall’incantesimo riappacificati con il mondo.
Una chicca: nella scaletta, Andrews ha inserito anche Satellite, il suo ultimissimo singolo, un giorno prima della pubblicazione mondiale su tutti i canali. Un vero e proprio regalo a noi e a Mojo Station, che ha ancora tanti anni di meraviglie davanti a sé.

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