Math / Sperimentale

Zu

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Tra morte e resurrezione: la nuova pelle degli Zu

Jhator
(House of Mythology, 2017)

JhatorRECENSIONE – Gli Zu non esistono più. No, non si sono sciolti, anche se Battaglia ha abbandonato la formazione creando malumore tra i fan, sostituito alla batteria da Tomas Järmyr dei Motorpsycho. Gli Zu godono di ottima salute e si sono reincarnati in un’altra forma per dare vita a Jhator, tredicesimo album in studio senza calcolare quelli live, gli split e le miriadi di collaborazioni che li hanno portati in diciotto anni di carriera a suonare con Mike Patton, John Zorn, Damo Suzuki e Eugene Chadborne, solo per citarne alcuni di stampo internazionale.

Jhator è un disco quasi incomprensibile se lo si paragona alle loro ormai usuali sonorità, non per questo di livello inferiore. In molti storceranno il naso fino a capovolgersi la faccia, ma non potranno negare che questo album funziona, in particolare per il coraggio di saper frenare e cambiare direzione. Nell’immaginario collettivo degli ascoltatori, il marchio Zu è sempre stato associato ad un certo tipo di energia, a tratti devastante, che univa molti generi e milioni di sfaccettature che spaziavano dall’acid jazz al metal passando per il math rock e suoi derivati, a dimostrazione di un raffinatissimo gusto musicale e di un carisma che in Italia è sempre stato molto difficile eguagliare.

Adesso le stesse caratteristiche sono state incanalate in un lavoro carico di simbologia e significato: “un’affermazione della vita, della sua bellezza e del suo mistero”, come la stessa band afferma, un disco che sancisce l’abbandono del succitato stile a favore di suoni eterei che più si avvicinano all’Ambient e al Post Rock di stampo Nord Europeo.
Lo Jhator (sepoltura celeste) è una cerimonia funebre buddista, tipica della cultura tibetana, dove il corpo del defunto viene dato in pasto agli avvoltoi. Detto così può sembrare brutale, ma nella spiritualità buddista acquisisce un significato molto profondo, visto come atto di estrema generosità da parte del trapassato per riconciliarsi con la natura. Mentre lo spirito viene trasportato in attesa di reincarnarsi in un altro corpo, la salma, ridotta ad un involucro vuoto, viene donata alla natura che lo ha generato, reinserendolo nel ciclo della vita per riequilibrare il debito karmico che l’uomo ha nei confronti della stessa.

A Burial Sky, la prima suite, è ispirata proprio a questa cerimonia e può essere letta come un simbolico rito funebre di passaggio degli Zu. Qui lo spirito si reincarna in un altro corpo, rinascendo, mentre la forma musicale esistita fino a quel momento, ridotta a mero contenitore, viene consacrata e donata definitivamente alla storia. La seconda traccia, The Dwaning Moon of the Mind, trae ispirazione dall’Antico Egitto, precisamente da un testo di Susan Brind Morrow che spiega il ruolo fondamentale dei geroglifici egizi nella costruzione della cultura moderna.
Questo album segna, come già detto, la rinascita degli Zu sotto un’altra forma, chiudendo di fatto i ponti col passato: cambia la musica così anche l’etichetta. Una grande scommessa per House of Mythology. Gli Zu non esistono più per come li conosciamo, sono semplicemente diventati qualcosa di nuovo. (Simone Vinci)

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