BLUES

Chi è l’uomo dietro “The Insurrection Blues”, il nuovo disco di Corey Harris

Dalla carriera personale alla Bloos Records, con un’unica certezza: “Il Blues è la mia vocazione”

 

di Angelo D’Elia

Tornare a parlare di blues su queste pagine è sempre un gran piacere, perché ciò testimonia il fermento e l’attività di una scena in continua espansione ed evoluzione, soprattutto nel contesto capitolino. Se, infatti, a Roma viene pronunciata la parola Blues, il nome di Simone Scifoni potrebbe saltar fuori con una certa facilità. Musicista poliedrico e di altissimo livello, compositore e produttore (anche se a lui questa definizione non piace), il lavoro che Scifoni sta portando avanti per lo sviluppo e la diffusione della forma d’arte musicale più antica che ci sia, il numero di progetti a cui ha preso parte, è davvero impressionante, e questa può essere soltanto l’opera di una persona per cui il Blues non è soltanto una passione, ma una vera e propria ragione di vita.

Tutto ciò ha portato a quello che per qualcuno potrebbe essere un azzardo, soprattutto nei tempi in cui viviamo, ma che è semplicemente il naturale proseguimento di un lungo e ben definito percorso, ovvero la creazione di un’etichetta, la Bloos Records (bloosrecords.com), per portare a maturazione definitiva tutta l’esperienza acquisita da musicista e da ascoltatore in primis (Scifoni è un vero collezionista di vecchie registrazioni, ci piacerebbe spulciare nei suoi archivi). Dai The Cyborgs a Max Prandi, passando per Paul Venturi, fino ad arrivare a nomi famigerati da queste parti come Spookyman e Bonny Jack, la Bloos Records può vantare un rooster di artisti di tutto rispetto, davvero trasversale nel genere e che permette un approccio alla materia davvero eclettico, che non si lascia alle spalle la lezione del passato, ma che tenta una via per vivere nel presente. Vi invito a recuperare, come esempio esplicativo, il disco del 2016 a firma dello stesso Scifoni (a.k.a. Slim) Alive, in cui gli stilemi del genere vengono riproposti e rimescolati in forma raffinata e mai banale, con un’estrema cura per un suono assolutamente non ‘rassicurante’. È questo l’approccio della Bloos Records.

La notizia ora, è che la Bloos ha aggiunto al suo cartellone di artisti un nome che per gli appassionati del genere equivale a quello di una leggenda. Corey Harris è uno dei più grandi e talentuosi interpreti contemporanei del Blues, in ogni sua forma e declinazione. Simone Scifoni è riuscito ad intercettarlo e a chiudersi insieme a lui per registrare The Insurrection Blues, fresco fresco di pubblicazione. A detta dello stesso Harris, è il miglior disco che abbia mai registrato…! Noi non vediamo l’ora di averlo tra le mani, intanto ne abbiamo parlato con Scifoni in persona.

Partiamo dall’attualità. Proprio oggi è uscito il nuovo disco di uno dei maggiori interpreti del blues in circolazione, Corey Harris. Non soltanto un interprete sublime, ma un vero e proprio studioso della materia (lo si poteva già capire quando, nel 2002, svolgeva il ruolo di ‘Virgilio’ per Martin Scorsese in quel meraviglioso viaggio che era Dal Mali al Mississippi). Raccontaci un po’ la genesi e lo svolgimento di questo vero e proprio colpaccio. Avete scelto o siete stati scelti?
Indubbiamente Corey Harris rappresenta al momento la punta di diamante dell’etichetta, un qualcosa che mi rende veramente fiero e felice di aver portato avanti alcuni progetti che fino a qualche anno fa ritenevo folli, ma che poi a quanto pare, perseverando, stanno dando i loro frutti.
L’idea di coinvolgere Corey è arrivata durante il lockdown. In quel periodo lui viveva ad Atri, un piccolo paese in Abruzzo. Attraverso un amico che abbiamo in comune, il mandolinista Lino Muoio, anch’esso un artista Bloos Records, venni a conoscenza del fatto che voleva incidere un nuovo disco prima di tornare negli States. Così lo contattai e gli proposi un accordo. Lui ne fu entusiasta. Era la primavera del 2021. Presi tutta l’attrezzatura e i microfoni e mi recai direttamente a casa sua. Trovammo una stanza tranquilla e silenziosa e iniziammo a registrare. Due giorni di sessione, con tutta la dovuta calma. A suo parere questo è il suo miglior album. Non so se stia dicendo la verità, ma questo mi lusinga veramente molto!
È stata per me un’esperienza indimenticabile, dal sapore d’altri tempi, in un momento storico così particolare. Due persone chiuse in una stanza a registrare. A volte basta così poco per scrivere un piccolo pezzettino di storia della musica.

Corey Harris

Avete partecipato attivamente alle fasi di registrazione? Se sì, come è stato il rapporto con un personaggio di questo calibro? Ne siete usciti in qualche modo arricchiti? E Corey ha trovato motivi per voler proseguire questa collaborazione?
Prima di incontrarlo conoscevo Corey Harris solo attraverso la sua musica. È stato uno dei miei idoli in adolescenza, compravo tutti i suoi dischi. Ricordo uno dei miei primi viaggi in macchina da neopatentato per andare ad ascoltarlo in Umbria ad un festival Blues. Ricordo ancora la sensazione. A quell’epoca il Blues era tutto intorno, si poteva respirare.
Onestamente non avrei mai pensato un giorno di produrre un suo disco, ma il Blues a volte è anche questo, è sorprendente e ovviamente non si può che uscirne arricchiti da una collaborazione così importante. Siamo entrambi presi da questo album e abbiamo molte aspettative, soprattutto perché in questo momento storico produrre e distribuire un lavoro del genere è sintomo di resistenza e perseveranza. È la dimostrazione che il Blues più autentico spesso nasce dai momenti difficili, come quello che stiamo vivendo adesso, in questi anni di alienazione e distanziamento sociale.

In tempi in cui la fruizione della musica è in continua (d)evoluzione, quella di fondare un’etichetta che ancora stampa dischi, in una scena di ‘nicchia’ come quella del Blues, in Italia, può sembrare la mossa di un pazzo, o di un sognatore. Raccontaci un po’ come è nata questa avventura della Bloos Records. E poi, quella del Blues è davvero una nicchia? Mi piacerebbe molto sbagliarmi.
Hai in parte già colto nella domanda il senso che può avere un’etichetta discografica oggigiorno. Non serve dire che in questo momento siamo al confine di una svolta epocale, un cambiamento radicale non solo per quello che riguarda l’arte e la musica. Permettimi un parallelo. Nel settore energetico siamo in pieno passaggio dal combustibile all’elettrico. Questo sta già influenzando il nostro stile di vita e le nostre abitudini. Nella musica sta succedendo la stessa cosa. Il passaggio dal supporto fisico a quello digitale è già in atto da diverso tempo, e noi che ci occupiamo di musica oggi siamo esattamente a cavallo di questo cambiamento. Per questo motivo indubbiamente viviamo molta incertezza sul futuro e facciamo fatica a comprendere totalmente i meccanismi che governano tutto questo, per cui è veramente difficile cercare di avere una visione chiara e precisa di ciò che sarà, di dove andremo.
In questo contesto trovo personalmente che ci sia un unico modo per vivere al meglio questa transizione: “Do it!”… Fallo! Fare ciò che hai in mente senza farti influenzare da nulla. È con questo pensiero che sto spingendo la mia etichetta discografica, senza pormi troppe domande. So benissimo che far crescere un’etichetta discografica in questo momento equivale ad aprire un ristorante nel deserto, ma la passione che ho verso la musica e verso il Blues mi spinge ad andare avanti, anche se probabilmente farò degli errori, come tanti ne ho già fatti.
Da più di 25 anni mi occupo di musica, suonando in lungo e in largo. Ho viaggiato molto grazie al Blues e attraverso i dischi ho studiato questo linguaggio facendone la mia più grande passione. Se parlare di Blues significa fare riferimento ad una nicchia ristretta di musicisti, artisti e appassionati, allora mi sento veramente privilegiato nel farne parte. Non mi è mai piaciuto il mainstream. Preferisco sentirmi parte di un qualcosa di esclusivo e ristretto dove le mie idee non possano disperdersi, e comunque in ogni caso trovo che non abbiano importanza certi dettagli, conta solo il fatto che il Blues è la mia vocazione, tutto qua.

Non per fare i conti in tasca, ma per far capire meglio ai lettori il funzionamento della ‘macchina’ (e magari per spingere qualcuno a seguire il vostro esempio): riesce ad essere un’iniziativa sostenibile?
Onestamente…? Direi di no. Come già accennato per me fare tutto questo sarebbe impossibile se non avessi una grande passione e dedizione alla causa. Da più di 25 anni colleziono dischi di Blues, ne ho sempre sentito l’esigenza. A tratti devo dire che la cosa può sembrare anche patologica.
Ecco, per me l’etichetta discografica è come fosse la normale evoluzione della mia propensione e ricerca a nuovo materiale da ascoltare… e poi forse sarò un nostalgico, ma una parte di me proprio non vuole cedere all’avvento del digitale e all’abbandono del disco fisico, vinile o CD che sia. Ad ogni modo per rispondere alla tua domanda posso chiudere col dirti che ce la sto mettendo tutta affinché questa ‘macchina’ possa essere sostenibile e produttiva.

Ascoltando la maggior parte della musica che esce oggi, si registra una certa monotonia, una generale carenza di idee causata dalla mancanza di una visione. La figura del produttore, in questi anni, sta venendo un po’ a mancare. Qualcuno che riesca non ad imporre, ma ad affiancare gli artisti, rendendoli partecipi di una visione che li faccia crescere. Tu, da produttore, in che modo affianchi gli artisti della tua etichetta? Sei sempre partecipe del processo creativo?
Non ho mai pensato a me come un ‘produttore’, anche perché non saprei dirti dove inizia e dove finisce il senso di questa parola. Ho sempre fatto quello che la mia creatività e il mio istinto mi spingono a fare. Quando un progetto esterno al mio mondo mi appassiona al punto da sentirlo mio, allora scatta un qualcosa e si innesca un processo. È automatico, è naturale. Ma questo non significa che tutti gli artisti del rooster di Bloos Records siano prodotti da me. Ci sono produzioni che sono partite dal principio, addirittura dalla scrittura e l’arrangiamento dei brani e altre produzioni che sono arrivate già impacchettate e pronte per essere fruibili. In ogni caso ovviamente c’è una selezione da fare e un’impronta da seguire.

Quello che si nota, ascoltando i dischi della Bloos Records, è una grande cura per il suono.  Quello che da sempre contraddistingue le grandi etichette è un sound immediatamente riconoscibile. Pur avendo una gamma di artisti abbastanza trasversale, c’è una linea guida comune? Insomma, la Bloos Records ha un ‘suo’ sound?
Questa è una bella domanda alla quale non è facile rispondere, ma ci proverò. Premetto che soprattutto negli ultimi anni i miei ascolti hanno subito una radicale discesa cronologica negli anni ’20 e ’30 e quindi già da un po’ la mia ricerca si è rivolta soprattutto ai 78 giri di quell’epoca, cosa che mi ha creato non pochi problemi in termini di reperibilità dei dischi e di spesa in termini economici. Questo per dire che il mio modello di suono è oramai qualcosa di molto lontano dai canoni di quello che oggi può essere considerato un buon suono. Per essere più chiaro: non amo il bel suono.
Anzi, dalla mia esperienza mi permetto di dire che tutto o quasi tutto ciò che suona bene, non riesco a considerarlo buono. Questo potrebbe essere o diventare presto un serio problema per me, ma è la verità. Tutti i dischi che considero belli e che continuo ad ascoltare, non suonano bene. Magari perché troppo vecchi, magari perché registrati male, non so… è come se i rumori, il fruscio, i suoni sbilanciati e altri dettagli del genere rendano più vera la musica che sto ascoltando, più autentica.
Purtroppo questa mia deformazione professionale mi porta a dovermi scontrare con la realtà musicale odierna, che ovviamente è differente dalle vecchie produzioni. Per questo motivo cerco in realtà di non farmi influenzare dal mio orecchio e mi faccio trasportare ogni volta da ciò che ascolto. Questo è quello che faccio, o cerco di fare: trovare un compromesso tra il vecchio e il nuovo. Forse questo meccanismo, unito a volte alla sperimentazione, in qualche modo, genera un sound.

 

Un’ultima, importante, curiosità: ci parli del progetto ‘Bloos Sessions’?
Bloos Session è un’iniziativa che definirei ‘promozionale’. La considero una sfida nella sfida. Una scommessa, insomma. Qui, forse, veramente potresti definirmi un sognatore. Ti spiego di cosa si tratta andando più sul tecnico, senza troppi giri di parole. L’idea mi è balenata durante il lockdown e appena poco dopo ho iniziato a metterla in pratica. Ho pensato: perché spendere soldi in promozione e pubblicità quando magari si può investire direttamente sulla produzione fisica dei dischi? Questo il concetto di partenza.
Si tratta di una sorta di ‘meccanismo virtuoso’ che ho immaginato, con il quale produrre un disco al mese senza nessuna spesa per l’artista. Tutte le spese sono a carico dell’etichetta: dalla registrazione, al mix, master, stampa e tutto. L’etichetta poi recupera le spese dalla vendita di poche copie, creando allo stesso tempo un prodotto limitato e collezionabile. Una volta creato il prodotto ho pensato di distribuirlo appunto in tiratura Super limitata, solo 50 copie fisiche in CD (oltre alla condivisione in digitale).
La vendita di queste poche copie serve a finanziare l’artista successivo, quindi il volume successivo di Bloos Session. Nessun introito economico né per l’etichetta, né per l’artista. Non ci sono guadagni, c’è solo musica. Per l’occasione ho sviluppato un packaging molto particolare ed esclusivo, più grande di un normale CD. Tutte le copie sono numerate sia sul pack che sul CD e dentro viene inserita una QR card per la fruizione dell’album in digitale.
Devo dire che l’idea è piaciuta molto fin dall’inizio e tanti artisti stanno sposando la causa. Pian piano questo meccanismo inizia a girare sempre meglio autogestendosi da solo. Spero che sempre più persone, musicisti, artisti, collezionisti e appassionati possano conoscere questa iniziativa. È solo grazie a loro che gli ingranaggi possono continuare a muoversi producendo sempre nuova musica.
Nonostante la situazione nel 2021 sia incerta e a tratti drammatica, credo che il Blues descriva sempre al meglio ogni sorta di cambiamento, nel bene e nel male. Sarebbe bello poter dire domani di esserci stati, di aver lottato, anche solo per aver avuto una canzone in più da ascoltare o da cantare.

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